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L’augurio: trovare il tempo per consolare l’uomo
“A nessuno di noi è chiesto di compiere miracoli, ma di prenderci cura. Non di "guarire i malati", ma di visitarli”
Lasciare un messaggio e un augurio a Natale, in questo tempo di pandemia, non è per nulla semplice. C’è il pericolo sempre nascosto di ridire sempre le stesse cose che più e più volte abbiamo ascoltato in questi mesi. Vorremmo che ogni contributo offerto potesse essere un aiuto sincero alle persone.
L’augurio che nasce dal cuore è che ognuno di noi sia capace di dedicare tempo ed energie per consolare l’uomo. Siamo al mondo per consolare, incoraggiare.
A nessuno di noi è chiesto di compiere miracoli, ma di prenderci cura. Non di “guarire i malati”, ma di visitarli. Di accudire con premura un anziano in casa, custodire in silenzioso eroismo un figlio con disabilità, aver cura senza clamori del coniuge in crisi, di un vicino che non ce la fa, di un titolare di impresa preoccupato della crisi nella sua azienda in questo tempo, uno sguardo fiducioso per chi vive nella paura, sostegno a chi non ha più in famiglia un proprio caro e tanto altro.
Prendersi cura del fratello è così importante che Dio lega la vita eterna ad ogni gesto di prossimità che si compie per il fratello.
Dio non guarderà alla nostra fragilità, prima di tutto, ma alla nostra bontà; il Padre guarderà non a me, ma attorno a me, alle lacrime e alle sofferenze che mi sono state affidate, per vedere se c’è qualcuno che abbia trovato in me un po’ di consolazione.
Misura dell’uomo e di Dio, misura della storia è il bene.
L’augurio di Natale non potrà essere sempre lo stesso, quello ripetuto e ritritato, stanco e fiaccato, quello che non tocca le corde profonde della vita.
La speranza che questo Natale possa essere per tutti l’occasione per capire se dentro a tanta sofferenza, la nostra vita sta cambiando in positivo, se si sta attuando una autentica conversione, dove l’altro non costituisce l’oggetto del mio mercato e del mio consumo, ma il fratello con cui allearmi per fare comunità e diventare ancora più umani.
Dove l’altro, è il fratello con cui devo fare squadra, al di la di ogni differenza culturale e sociale.
La speranza di poter cambiare, consapevoli che se ognuno intende arrangiarsi, allora è finita veramente. Bisogna ricostituire legami forti per il bene della chiesa e della società.
La pandemia è un dramma certamente, ma anche certi stili di vita, sono e rimangono un dramma. Anche le più diverse povertà ancora esistenti, sono un dramma, anche il nostro pianeta nella situazione attuale costituisce un dramma, anche tutte le forme di ingiustizia perpetuate negli anni, sono un dramma, anche chi approfitta della situazione attuale per i propri interessi, costituisce un dramma.
In questo Natale, così diverso dai comuni natali, cerchiamo con tutte le nostre forze di essere consapevoli che Gesù è nato. Lui c’è, è presente. Non è assente. E’ in azione, non è fermo. Gioisce e soffre con noi, ascolta le nostre richieste, vive le nostre preoccupazioni.
Ma c’è una domanda a cui rispondere, che Gesù stesso a posto a noi nel Vangelo: “Quando ritornerò sulla terra, troverò ancora fede?”
A Natale, tra il mio popolo in sofferenza per questa pandemia, troverò ancora fede? Sarà ancora capace il mio popolo di credere e di coltivare la fiducia che io possa liberarli? Fiducia nella scienza si, e in Dio? Quale spazio vero ed autentico concediamo a Lui, quale posto gli diamo?
Il fatto di vivere questo Natale nelle forme che ci sono state indicate dal governo, non sarà forse l’occasione per una purificazione del Natale stesso? Occasione per ritrovare autenticità? O come diceva il papa proprio all’Angelus la domenica seconda di Avvento: “rinunciare allo spirito mondano”.
Potare decisamente un natale troppo folcloristico che rischia di intaccare anche le corde più profonde di un cristianesimo. Perché non vedere in questa sofferenza, l’opportunità seria di un cambiamento?
Ecco la speranza che ci deve animare, lo sguardo profetico da coltivare.
Allora, rinnoviamo la nostra fede, creiamo coesione, coltiviamo relazioni umane, cerchiamo di farci attenti e prossimi alle più diverse povertà che ci sono vicine. Portiamo nel cuore la provocazione di quell’autore che disse: “da questa pandemia, o si esce migliori o si esce peggiori”.
La nostra speranza non potrà se non essere quella di una uscita in positivo. Allora il natale non sarà soltanto luci e colori, ma un cuore che si rinnova autenticamente, perché ha accolto una Buona Notizia che si fa luce anche nel buio più profondo.
L’augurio finale tracci un solco indelebile con la punta di questo straordinario versetto: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.