“Finché non provi sulla tua pelle non ti rendi conto”

Una mamma racconta la sua quarantena: “Questo virus sa insinuarsi quanto meno te lo aspetti"

I numeri di questa ondata di pandemia ci dicono che la dimensione del contagio è molto più importante di quella dei primi mesi. Anche senza l’escalation dei dati e senza entrare nello specifico dell’analisi degli stessi, tutti o quasi ci siamo resi conto di conoscere persone che direttamente o indirettamente hanno fatto (o hanno in corso) esperienza del covid19.

Ad una di queste ho chiesto come si sia manifestato il virus e se fosse in grado di dire come era arrivato a lei.

“Ad inizio novembre dopo essere stati a trovare degli amici, avendo saputo che uno di questi era risultato positivo, lei e i famigliari si sono sottoposti ad un primo tampone, che era risultato negativo. “Nei giorni successivi uno dei ragazzi ha manifestato dei sintomi (qualche linea di febbre), tutti noi (genitori e figli) abbiamo fatto nuovamente l’esame (tampone molecolare) e siamo risultati positivi. Un po’ alla volta sono comparsi quei segnali che ormai si associano al coronavirus: la febbre (nel nostro caso, per fortuna, è sempre stata bassa), il mal di testa, la tosse. Un segnale, prima di sapere l’esito del secondo tampone, ce lo aveva già dato la sparizione dell’olfatto e del gusto.

Siamo vissuti nell’angoscia, soprattutto i primi giorni, dopo che avevano saputo che gli amici e i loro famigliari erano stati colpiti; oltretutto anche loro vivevano con un senso di colpa il fatto di averci contagiato. A queste sensazioni riferite alla sfera psicologica, si sommavano la debilitazione che questo virus ti dà, e poi pensi che poteva andare peggio e ti dai coraggio”.

Come siete stati seguiti dal personale sanitario?

“Per il tampone ci siamo recati presso l’ospedale di Portogruaro (ex Silos) e poi siamo stati seguiti a domicilio, attraverso delle telefonate e dal medico di base. Sappiamo che in situazioni più delicate il personale sanitario si è recato a casa. Non nel nostro caso, perché nessuno di noi quattro in famiglia aveva sintomi gravi”.

I problemi, anche pratici, legati ad un isolamento per 3 o 4 settimane?

“Per fortuna abbiamo tanti amici che ci hanno aiutato, lasciandoci sul portone di casa la spesa, telefonandoci per ogni bisogno, ma non potersi muovere è molto pesante da sopportare. Pensi al lavoro, alle persone che hanno bisogno di te, è come se il tempo si fermasse. Poi noi non siamo stati contagiati tutti nello stesso tempo, ma anche a distanza di giorni, per cui il dover aspettare la quarantena e l’esito del tampone che ti dia via libera allunga i tempi”.

Dopo questa esperienza è cambiato il suo atteggiamento nei confronti di questa pandemia?

“L’abbiamo sempre presa sul serio, ma finché non provi sulla tua pelle non ti rendi veramente conto della capacità che ha questo virus di insinuarsi quanto meno te lo aspetti. Forse c’è stata qualche leggerezza, oggi sicuramente starei ancora più attenta. Pur conoscendo le misure preventive e cercando di metterle in essere diligentemente, avendo a che fare con un nemico invisibile e aggressivo, una leggerezza, un comportamento poco attento, una sottovalutazione e il contagio arriva in famiglia e se colpisce persone anziane o fragili gli effetti possono essere drammatici”.

ANNONE VENETO Ad Annone sono circa il doppio i casi di contagio rispetto alla prima ondata, con una incidenza dell’1% (nell’Ulss 4 è arrivata allo 0,6 %). Quasi tutti i focolai hanno colpito nuclei familiari, interessando persone anche giovani, come il caso della mamma di famiglia che ho intervistato. Ma dei soggetti anziani e con patologie non ce l’hanno fatta e qualcuno ne è uscito solo dopo un lungo ricovero.