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Contagiata tra le prime a marzo e curata all’ospedale Covid di Jesolo
Ilaria Cuzzolin, oss alla Francescon di Portogruaro
A volte si guarisce, altre si portano ferite dentro per tutta la vita. Ce lo racconta Ilaria Cuzzolin, operatrice socio sanitaria presso la Residenza per Anziani Giuseppe Francescon di Portogruaro.
“Ho contratto il Covid a marzo, nella prima ondata della pandemia – ci spiega Ilaria -. Ancora non si sapeva nulla di preciso su come riconoscere i sintomi, e ancora non si facevano i tamponi, che sono arrivati da lì a poco, così è successo che sono stata tra le prime ad essere infettata”.
Dopo aver prestato servizio nel reparto di isolamento allestito all’interno della residenza, Ilaria ha cominciato a manifestare i sintomi dell’infezione, dapprima con mal di gola, febbre e raffreddore, poi con difficoltà respiratoria.
Giunta al Pronto Soccorso di Portogruaro, dopo una notte di degenza le viene diagnosticato il contagio con polmonite e quindi trasferita al settore specializzato per il Coronavirus presso l’ospedale di Jesolo.
Qui comincia il suo incontro vero con la malattia, che si manifesta con tutta la sua violenza e la costringe alle cure del reparto di terapia sub-intensiva, con quattro flebo al giorno, ossigeno 24 ore su 24, antibiotici, antivirali, eparina e altri farmaci ancora. “In quei momenti ti rendi conto di quanto siamo fragili – continua Ilaria -, di come le nostre vite sono appese ad un filo, e di quanto ti mancano gli affetti quotidiani. Sei sola, non puoi vedere nessuno, i medici vengono solo al bisogno, senti altre persone soffrire, stai male per gli effetti collaterali di tutti i medicinali che devi assumere… temi per la tua vita”.
Le terapie a Jesolo portano fortunatamente a dei miglioramenti e, dopo 13 giorni di degenza, e la negatività a tre tamponi, viene trasferita per altri tre giorni di ricovero a Portogruaro, per terminare le cure, ed infine dimessa.
Ilaria rientra così a casa, fortemente debilitata nel fisico (basti pensare che in poco più di due settimane perde oltre nove chili), e segnata psicologicamente dalla dura esperienza.
La malattia le lascia in eredità una trombosi alla vena basilica del braccio sinistro che le si manifesta dopo qualche periodo, spossatezza fisica e un lieve deficit respiratorio. Dopo ulteriori due mesi e mezzo di convalescenza rientra in servizio, con ancora questi strascichi che tutt’oggi si porta dietro.
“La ripresa al lavoro è stata psicologicamente traumatica – conclude Ilaria -, con il timore di potermi riammalare e di passare nuovamente quel calvario, nonché di poter contagiare famigliari ed amici. Questa malattia mi ha segnato dentro, non sono più quella di prima, né fisicamente, né nei rapporti con gli altri. Spero che il tempo mi consenta di recuperare, ma non auguro a nessuno una così tremenda esperienza”.