Sport
Meneguzzi, il tallonatore senza la mano sinistra: le sue erano touche per la vita
Rugby, è mancato agli inizi di novembre per una malattia fulminea
Dicono che il rugby sia una palestra di vita. Essenzialmente per una “banale” caratteristica, quella di essere uno sport duro, come sottolineava Sir Wavell Wakefield, uno dei pionieri del gioco. Una palestra dove si insegna a stringere i denti, a rialzarsi dopo una caduta, ad essere “resilienti”, per usare un aggettivo molto in voga di questi tempi. Valerio Meneguzzi è stato un rugbista prima ancora di conoscere il rugby.
L’INCIDENTE Aveva quindici anni quando perse la mano sinistra a seguito di un incidente sul lavoro. Un evento che per molti, soprattutto in quell’età piena di sogni e di progetti, può rappresentare l’inizio di una spirale infinita di tormenti e depressione. Ma quell’adolescente di Mussons, piccolo borgo rurale di Morsano al Tagliamento, sostenuto dalla famiglia, riuscì ad evitare di cadere in quella deriva. Ripartì ricominciando subito a lavorare e affrontando una nuova sfida, quella dello sport, scegliendo peraltro la disciplina in assoluto meno adatta a chi porta una disabilità come la sua: il rugby, appunto, un gioco di contatto dove si usano essenzialmente le mani. Fu il cognato, Rolando Biason, a sua volta storico giocatore del Rugby Portogruaro, a portarlo la prima volta al campo di via Volta Casalta, in casa di uno dei club più ruspanti, più veri, più simpatici della pallovale veneta.
MAI ARRENDERSI E il ragazzino senza una mano si dimostrò subito un rugbista nato. Grandissimo placcatore, agonista indomito, trovò posto in prima linea, cioè nel ruolo più duro di questo sport duro. Giocava con la maglia numero 2, quella del tallonatore, ma la cosa sorprendente era che lanciava le touche con precisione millimetrica e passava la palla, da un lato e dall’altro, meglio di molti giocatori senza disabilità, usando la mano destra ed il moncherino della sinistra. Anche questo un segno della sua immensa forza di volontà, del non voler mai accampare alibi o scuse, della sua tenacia nel voler perfezionare un gesto tecnico, pur facendo – ed è un’evidenza aritmetica – il doppio della fatica rispetto ad un atleta normodotato.
Il tallonatore senza una mano divenne una sorta di piccolo mito nelle categorie minori del rugby veneto. «Da avversario era una rogna, proprio per le sue caratteristiche di combattente – racconta il compaesano ed amico fraterno Alessandro Bertoni, che Valerio ha portato a sua volta al rugby da giovanissimo – ma nell’ambiente del nostro sport tutti lo apprezzavano anche per il carattere gioviale e socievole e tanti giocatori di altri club hanno imparato a conoscerlo e a volergli bene durante meravigliosi e memorabili terzi tempi in cui era spesso uno dei mattatori».
La sua abnegazione, la sua serietà e la stima della quale godeva presso tutti i compagni lo hanno portato anche a vestire i gradi di capitano del Portogruaro per diverse stagioni. Valerio è mancato agli inizi di novembre per una malattia fulminea che non gli ha lasciato scampo. A dargli l’ultimo saluto c’era tutto il paese, i compagni di lavoro e tantissimi compagni di squadra, venuti a rendere i giusti onori al loro capitano.