Commento al Vangelo
Domenica 25 ottobre, commento di don Renato De Zan
Il cristiano ama Dio, il prossimo e se stesso: questa la nuova legge di Gesù
Mt 22,34-40
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Tematica biblico-liturgica
Nel libro del Levitico c’è un precetto molto vicino al vangelo: Lv 19,18 (“Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”). Il prossimo, dunque, è un figlio del popolo ebraico. Si tratta di una visione un po’ stretta che Gesù amplierà, rovesciando il criterio di “prossimo”: non chiederti chi sia il tuo prossimo, ma chiediti di chi tu sei prossimo (cfr Lc 10,29-37: parabola del buon samaritano). Un commento a Lv 19,18 può essere Es 22,20-26 (prima lettura), dove si esemplifica “pastoralmente” cosa significhi amare il prossimo. Non opprimere il forestiero che vive in mezzo alla comunità ebraica perché tu, ebreo, sei stato forestiero in Egitto. Non maltrattare l’orfano e la vedova. Presta denaro senza interesse. Se hai il mantello come pegno del povero, alla sera restituisciglielo: gli fa da coperta. La chiave per comprendere questo brano veterotestamentario è semplice: il richiamo all’Egitto suggerisce all’ebreo di comportarsi verso il prossimo come Dio si è comportato con lui. Dio ha affrancato gli ebrei dall’oppressione egiziana: se Dio ha liberato l’ebreo dallo sfruttamento, l’ebreo non può sfruttare un altro uomo. Dio ha usato misericordia verso il suo popolo. Ciò che l’ebreo ha ricevuto, lo dove devolvere agli altri. Il forestiero, la vedova, l’orfano, il povero sono le figure fragili della società ebraica. Il Siracide era arrivato a dire: “Sii come un padre per gli orfani e come un marito per la loro madre e sarai come un figlio dell’Altissimo, ed egli ti amerà più di tua madre (Sir 4,10). In nessun comandamento biblico l’amore per il prossimo significa affetto, ma atteggiamento interiore simile a quello che Dio ha mostrato per Israele.
Gesù parla a degli ascoltatori che conoscono questi dettami della Legge. Per questo la sua risposta al dottore della Legge è molto elaborata. Sta parlando a un professionista della Legge. Per Gesù il punto di partenza non è la Legge, ma la fede. Il Maestro, infatti, cita la seconda parte dello Shemà‘ (Dt 6,4-5): “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. È il legame con Dio la chiave per comprendere e vivere l’amore del prossimo. Forse si può riesprimere più o meno così: guarda come Dio ha manifestato nella storia il suo amore nei tuoi confronti e in te nasce una risposta di amore (quella presupposta dallo Shemà‘). Questo amore di risposta si traduce in un amore al prossimo e a se stessi: l’amore verso di sé e verso il prossimo, dunque, è un amore che non nasce dall’egoismo e dalla filantropia, ma nasce dalla riconoscenza per ciò che Dio ha fatto nel credente.
Dimensione letteraria
Il testo di Mt 22,34-40, arricchito dall’incipit liturgico (“In quel tempo, i farisei, avendo…) fa parte di una serie di diatribe che Gesù ha avuto con i responsabili ebrei. Costoro volevano cogliere in fallo Gesù (Mt 22,15), mettendolo alla prova (Mt 22,35). Nel testo evangelico odierno (Mt 22,34-40) si nasconde un’insidia. Per molti rabbini, soprattutto farisei, non c’era alcuna differenza tra i comandamenti: tutti erano uguali e tutti dovevano essere rispettati allo stesso modo. C’era anche una minoranza di rabbini che gerarchizzava i comandamenti. Gesù appartiene a questa minoranza. Il Signore mette insieme Dt 6,5 con Lv 19,18. L’amore del prossimo e di se stessi è un comandamento “simile” al primo e, quindi, inseparabile dal primo. Non si può amare Dio senza amare il prossimo e se stessi. I due comandamenti, inoltre, sono il punto di partenza per comprendere e dare valore a tutti gli altri comandamenti.
Riflessione biblico-liturgica
a. Dall’amore riconoscente nasce una rapporto con Dio sano ed equilibrato: “Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore” (Gv 4,18).
b. Per comprendere che cosa significhi l’amore cristiano verso il prossimo, da non confondersi con l’affetto, basterebbe leggere 1 Cor 13,1-8, l’inno all’amore-agàpe, sostituendo alla parola “agàpe” il pronome personale “io”: “Io sono paziente e benigno. Non sono invidioso, non mi vanto, non mi gonfio, non manco di rispetto, non cerco il mio interesse, non mi adiro, non tengo conto del male ricevuto, non godo dell’ingiustizia, ma mi compiaccio della verità…”.
c. Volendo trovare nel N.T. un breve commento alla parole di Gesù, si può leggere Rm 13,8-10: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,8-10).