Commento al Vangelo
Domenica 4 ottobre, commento di don Renato De Zan
La scelta radicale: dipendenza da Dio o autonomia da Lui
Mt 21,33-43
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li maltrattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto di mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità”. Lo presero, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli rispondono: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Tematica liturgica
L’umanità primitiva venne immediatamente messa di fronte a una scelta: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti” (Gen 2,16). L’umanità primitiva fece la scelta sbagliata. Non volle dipendere da Dio e, disobbedendo, scelse di diventare dio di se stessa. Gesù, in antitesi con Adamo, è invece l’obbediente e, con l’obbedienza a Dio, riscatta l’umanità (Rm 5,19: “Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti”; Fil 2,8: “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”). I responsabili d’Israele, attraverso le leggi e le tradizioni umane, allontanavano il popolo dalla Parola di Dio. Lo spingevano all’autonomia da Dio, sottraendolo all’obbedienza. Gesù, attraverso la parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-43), mette in evidenza proprio questo. I vignaioli sono tenuti alla dipendenza dal padrone della vigna. Hanno un contratto d’affitto. Non lo vogliono rispettare. E questo diventerà la loro morte. Lo stesso pericolo è presente nelle scelte del popolo di Dio.
Dimensione letteraria
Al testo evangelico originale, Mt 21,33-44, la Liturgia apporta due modifiche. La prima consiste nell’aggiunta di un lungo incipit per chiarire chi fossero i destinatari storici della parabola: “In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani…”. La seconda è la soppressione del v. 44 (“Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta”). Questa scelta toglie alla parabola il valore di profezia della cattura, passione e morte di Gesù.
Il testo che rimane, Mt 21,33-43, è una parabola molto dura. I vignaioli, secondo il contratto di affitto, dovevano consegnare parte del raccolto al padrone. Erano dipendenti dal padrone. Ma essi vollero essere autonomi dal padrone. Maltrattano e uccidono i servi e il figlio per impossessarsi della vigna. La reazione degli ascoltatori è chiarissima: “Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. In quel momento gli ascoltatori, giudicando il racconto, giudicavano se stessi.
A questo significato originario, Matteo, con brevi ritocchi letterari, sovrappone alla parabola del Gesù storico, un significato nuovo. La citazione iniziale di Is 5,2 fa diventare il padrone e la vigna rispettivamente Dio e il popolo ebraico. Le due missioni dei servi alludono ai profeti anteriori e posteriori. Nei maltrattamenti dei servi Matteo adopera una sequenza verbale (uccidere-lapidare) che Gesù adopera in altra occasione per rimproverare Gerusalemme che sopprime gli inviati di Dio: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te” (Mt 23,37). Il figlio viene definito l’erede” (Eb 1,1-2: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose…”). Matteo, attraverso la parabola di Gesù presenta una sintesi della storia della salvezza, con l’epilogo in cui il popolo di Dio viene affidato “ad altri” (= gli apostoli).
Riflessione biblico-liturgica
a. L’Antico Testamento aveva capito benissimo che la vera vita si ha nell’obbedienza a Dio. Samuele disse a Saul: “Ecco, obbedire è meglio del sacrificio, essere docili è più del grasso degli arieti” (1Sam 15,22).
b. L’autore della lettera di Pietro disse ai cristiani: “Dopo aver santificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità, per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna (1 Pt 1,22-23).