Commento al Vangelo
Domenica 20 settembre, commento di don Renato De Zan
“Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno..."
Mt 20,1-16 (forma abbreviata)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”.
“I miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”
Tematica liturgica
Il Deutero-Isaia, profondo conoscitore dell’animo umano, alla fine dell’esilio di Babilonia si era fatta una convinzione profonda: il modo di pensare di Dio non è il modo di pensare dell’uomo (prima lettura: Is 55,6-9). Dio, molto spesso, sconcerta. La distanza tra i due modi di ragionare e conseguentemente di comportarsi, è enorme. “Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”: dice Dio. Questa riflessione profetica trova la sua esemplificazione più convincente nel dialogo finale tra il padrone della vigna e uno degli operai della prima ora (vangelo Mt 20,1-16). Il padrone aveva contrattato con i primi operai un denaro al giorno (paga normale per allora). Poi, però, il padrone paga con un denaro sia coloro che hanno lavorato tutto il giorno e con i quali aveva fatto il contratto, sia coloro che hanno lavorato solo un’ora e con i quali non aveva fatto nessun contratto. L’operario della prima ora mormora contro il padrone, il quale risponde: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. No, non ci siamo. La giustizia di Dio non è la giustizia degli uomini. Gesù aveva avvertito Pietro: ci sono due modi di ragionare. C’è il modo di ragionare secondo Dio e c’è il modo di ragionare secondo gli uomini (Mc 8,33). Pensare secondo Dio, dunque, non è una forma spontanea, facile. È, invece, un cammino costante di profonda consuetudine con la sua Parola. Solo in questo modo il discepolo di Gesù assimila i pensieri di Dio, il suo modo di valutare, di riflettere, di giudicare, di decidere e di agire. Dio è capace di associare la bontà-misericordia alla giustizia lì dove l’uomo non sa fare altro che un avvilente calcolo matematico-giuridico. Su questo tema c’è ancora molto da riflettere e maturare, dentro e fuori la comunità cristiana. La Colletta particolare di questa domenica ricorda all’assemblea celebrante che Dio è “giusto e grande nel dare all’ultimo operaio come al primo”. Dietro a questa non facile riflessione c’è il tema caro al libro di Giobbe: “Chi gli può dire: «Che fai?»” (Gb 9,12). Le parole del profeta, dunque, non sono poesia, ma forte realtà. I pensieri e le vie di Dio, così come ce li ha manifestati Gesù, non sono i pensieri e le vie dell’uomo.
Dimensione letteraria
Al testo evangelico (Mt 20,1-16) la Liturgia ha premesso un incipit che offre al lettore l’informazione minima sul mittente, il destinatario e sul genere letterario del brano: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola”. Il testo è suddiviso in due grandi parti. La prima è caratterizzata dall’espressione temporale “all’alba” (Mt 20,1-7), la seconda dall’espressione temporale “quando fu sera” (Mt 20,8-16). Nella prima parte il padrone offre il lavoro agli uomini per ben quattro volte (alba, nove del mattino, mezzogiorno, cinque di sera). Nella seconda parte del racconto viene narrato il momento della ricompensa. Il testo esplicita: “Incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Tutti ricevono un denaro (più o meno € 40). Alle rimostranze dei primi, il padrone rivendica la libertà di fare ciò che vuole con i suoi beni. La conclusione del brano esplicita quanto detto all’inizio della seconda parte: “Gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”.
Riflessione biblico-liturgica
a. La lettura allegorica della parabola è stata frequente nel passato: si tratta della storia della salvezza. Gli operai della prima ora rappresenterebbero il popolo ebraico con il quale Dio aveva fatto un’alleanza bilaterale (contratto). Gli altri sarebbero figura dei popoli pagani diventati cristiani. Con i quali Dio fa un’alleanza unilaterale donativa.
b. Comparando se stesso all’altro, il lavoratore della prima ora percepisce ingiustizia, prova invidia e si ribella. La giustizia divina va oltre quella umana, perché Dio sa associare alla giustizia quella bontà che l’uomo, purtroppo, non è capace di avere, se vuol essere giusto.