Commento al Vangelo
Domenica 17 maggio: commento di don renato De Zan
L’amore cristiano non si fonda sul sentimento romantico. Gesù dice chiaramente: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”.
17.05.2020 = 6° domenica di Pasqua – A
Gv 14,15-21
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Lo Spirito e l’esperienza dell’eternità nella storia
Tematica liturgica
L’amore cristiano non si fonda sul sentimento romantico. Gesù dice chiaramente: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. C’è da chiedersi cosa può significare il verbo “osservare”, che di norma pensiamo indichi l’adempimento del comando. Se prendiamo in considerazione il verbo greco “teréo” comprendiamo che dietro a questo verbo ci sono due tempi. Il primo riguarda la capacità di conservare in sé la Parola del comandamento. Conservare significa “ricordare”, “comprendere” e soprattutto “fare proprio”. Osservare, dunque, implica non l’obbedienza soltanto, ma la convinzione interiore che nasce dall’ascolto, che passa attraverso sia la riflessione sia la scelta di fare proprio quanto è stato ascoltato. Il passaggio verso la scelta obbedienziale diventa semplice e logica. Quali comandamenti? Istintivamente si potrebbe pensare al decalogo. Ma non è questo il significato dell’espressione “miei comandamenti”. Per comprendere meglio il pensiero di Gesù bisogna chiedere aiuto alla prima lettera di Giovanni: “Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato” (1Gv 3,23-24). Per il presbitero Giovanni il comandamento è “credere”. Da questa fede nasce l’imitazione di Cristo. Gesù ha amato i suoi fino alla fine e ha dato se stesso come modello perché i discepoli imparino ad amare: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.” (Gv 13,34). I comandamenti di Gesù, dunque, sono fondamentalmente due: credere in lui e amare come lui. Vivere la fede e l’amore non è cosa che dipende solo dalla buona volontà dell’uomo. È necessario che in questo impegno il discepolo sia sostenuto dallo Spirito di Dio, il Paraclito, lo Spirito della verità. “Paràkletos” in greco significa “patrocinatore, avvocato, intercessore, soccorritore”. Lo Spirito viene chiamato “un altro” Paraclito. Perché un altro? Perché il primo è Gesù stesso: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato (in gr. “paràkletos”) presso il Padre: Gesù Cristo giusto” (1Gv 2,1). Lo Spirito continua l’opera di Gesù. Per questo Gesù può dire ai suoi discepoli che non li lascerà orfani.
Dimensione letteraria
Il discorso di Gesù nell’ultima cena giovannea è molto lungo (Gv 13,31-17,26). Comprende una parte dialogata (Gv 13,31-14,31), seguita da un monologo (Gv 15,1-16,16) e una seconda parte dialogata (Gv 16,17-17,1a), seguita ancora una volta da un monologo (Gv 17,1b-26). Il testo scelto dalla Liturgia (Gv 14,15-21) corrisponde alla parte finale del dialogo tra Filippo e Gesù. L’incipit liturgico (“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli”) isola le parole di Gesù dal resto del brano del dialogo Filippo-Gesù (Gv 14,8-21) e quindi sottolinea alcuni elementi importanti. Il primo è dato dall’inclusione del testo. Si tratta di un tema articolato: il discepolo ama Gesù, se osserva i comandamenti (vv. 15.21), e sarà amato da Gesù e dal Padre. Il secondo elemento è dato dall’antitesi Paraclito-mondo. Il Paraclito è lo Spirito della verità che abita nel discepolo e lo rende capace di esperimentare Dio. Il mondo è fuori da questa possibilità. Al centro delle parole di Gesù c’è l’affermazione “Non vi lascerò orfani, verrò da voi”. Si tratta dell’annuncio di come Gesù sarà presente nella chiesa per mezzo dello Spirito.
Riflessione biblico-liturgica
a. In queste domeniche la Liturgia ha illustrato come i primi discepoli hanno esperimentato l’incontro con il Risorto: la Parola e il Segno li hanno guidati. Sono i due elementi che servono anche ai discepoli di oggi per incontrare il Risorto. E l’esperienza dello Spirito?
b. I vangeli di queste ultime domeniche di Pasqua aiutano a dare la risposta. Lo Spirito sostiene la fede del credente. Confessare Gesù come Signore, invocare Dio come Abbà, riconoscere ed esercitare i carismi, sono tutte forme con cui lo Spirito si fa presente ed si fa esperimentare nei credenti.
c. Perché lo Spirito promesso viene chiamato Spirito di verità? Sempre nel discorso dell’ultima cena Gesù chiarirà il nome che dà al Paraclito: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.” (Gv 16,13-14).