La spagnola: il giro del mondo in quindici storie di vite famose

Viaggio letterario/7: libri di contagi ed epidemie

Pandemia di Coronavirus molti l’hanno paragonata alla Spagnola. “Quindici storie della febbre spagnola” è un interessante libro scritto da Riccardo Chiaberghe, già giornalista al Corriere, direttore del Libro dell’anno per la Treccani.

L’originale testo propone la vita di quindici tra donne e uomini che si “scontrarono” con la Spagnola. Nel difficile duello chi lo vinse e chi no.

Chiaberge si chiede come sarebbero andate le vicende personali e quelle pubbliche della società umana se per i quindici protagonisti la sorte si fosse invertita.

Un esempio: se Walt Disney non fosse sopravvissuto alla spagnola, che lo colpì mentre stava per partire per l’Europa con la Croce Rossa. La Spagnola lo trattenne in America e le “capsule di belladonna, frizioni di Viks Vaporub, gran clisteri per pulire l’intestino, e quand’è sfebbrato succhi di frutta e fiocchi d’avena come suggerisce il dottor Kellog” che la premurosa mamma di Disney propinò al figlio, insieme all’impedimento di accogliere in casa alcun visitatore, dopo dieci giorni lo rimisero in piedi. Diversamente non potremmo contare su tutta l’immensa opera animata che da Disney ebbe origine.

Thomas Woodrow Wilson, Presidente americano, firmò il trattato di Versailles, dopo vari ictus e soprattutto un attacco di Spagnola, che stando agli studiosi gli alterò le facoltà intellettuali, tanto da indurlo alla firma di condizioni tali nei confronti della Germania, che determinarono la seconda guerra mondiale.

Fatto curioso: di Spagnola morì nel gennaio 1920 Sophia di Amburgo la “cocca”, la prediletta tra i sei figli del noto psicoanalista Sigmund Freud. “Rapita malgrado una salute raggiante e una vita piena e attiva di brava madre e moglie amorevole”. Era in attesa del suo terzo figlio. Freud già anziano cedette alle insistenze di un giornalista per scrivere a quattro mani uno studio psicologico su Wilson e il suo comportamento a Versailles. Freud non scrisse questo particolare, ma dai diari del medico curante del Presidente si evince che negli ondeggiamenti e i voltafaccia a Versailles si poteva riscontrare anche la subdola azione di un virus, lo stesso che aveva strappato l’adorata Sophie.

Anche il presidente Roosvelt fu colpito dalla Spagnola, la superò e nel 1921 fu colpito anche dalla poliomielite. Nonostante tutto conquistò la Casa Bianca e vi rimase per quattro mandati.

Morì di Spagnola Yakov Sverdlov che sarebbe dovuto diventare il successore di Lenin al posto di Stalin.

Morì di spagnola Margherita Kaiser Parodi Orlando, crocerossina uscita indenne dalla Grande Guerra. Contrasse il virus il 4 novembre 1918  tra gli abbracci a Trieste liberata. Sarà l’unica donna sepolta a Redipuglia.

Di Spagnola morì sir Mark Sykes dopo aver disegnato i confini del Medioriente, colui che aveva infranto il sogno dello sceriffo della Mecca di costituire un unico stato arabo dalla Mecca a Damasco.

Sopravvisse alla Spagnola Leó Szilárd, ebreo ungherese. Si affannò a inventare l’atomica e poi a battersi fino alla morte per “il controllo di quella stessa bomba che aveva contribuito a creare”.

Nulla poté la Royal Air Force nei confronti di Mohamed Abdullah Hassan capo del primo Stato islamico della storia. Poté invece un colpo di coda della Spagnola nel novembre 1920. “Ma forse nessuna sorte fu più beffarda di quella toccata al tedesco – americano Anton Dilger, medico e spia del Kaiser, morì di Spagnola a Madrid, dopo aver tentato per anni di scatenare la guerra batteriologica contro gli Stati Uniti.

I capitoli del libro sono inframezzati da suggerimenti dell’epoca: “E’ un’influenza stagionale. Congestione delle vie respiratorie. Polmonite. Chi sta rinchiuso non la piglia. Colonne di morti. Bisogna trovare medici. Chiusura delle scuole. Non stringersi la mano. Non baciarsi. Rispettare i precetti. Lavarsi le mani. Evitare assembramenti. Non c’è chinino. Funerali proibiti.

L’unico luogo dove non arrivò la Spagnola è l’isola brasiliana di Marajó.

LA SPAGNOLA FU LA PIÙ GRANDE PANDEMIA DELLA STORIA DELLA UMANITÀ

Quando tra i vari articoli che Il Popolo ha dedicato al centenario della Grande Guerra, mi accingevo a scrivere quello dedicato alla pandemia di Spagnola che colpì l’Italia e gran parte dell’Europa a partire dalla seconda metà del 1918 mai avrei pensato che a distanza di un anno e mezzo mi sarei ritrovata a scrivere di un’altra simile pandemia che avrebbe colpito il nostro Paese e l’Europa. Allargandosi ad altri continenti, come avvenne per la Spagnola.

Pagine tristi, tratte spesso dal diario di don Umberto Gaspardo, all’epoca cappellano a Bagnarola. I giornali scarseggiavano e soprattutto nelle campagne, perciò i diari sono una fonte importante di informazione.

Pagine di dolore, di tantissime morti bambine, fanciulli, fanciulle, angioletti. Morti di vecchi.

Gli uomini validi erano al fronte, dove pure si moriva di spagnola.

Ai primi di ottobre 1918 scrive nel suo diario don Gaspardo: “Questa febbre spagnola – per la prima volta usa questo termine – infierisce assai, quattordici, quindici ammalati in qualche casa. E’ una vera epidemia”.

La “Spagnola”, fu così chiamata dal Paese in cui per prima i giornali rivelarono la sua esistenza.

La Spagna non era coinvolta nel Primo conflitto mondiale e quindi non soggetta alla censura. Negli altri Paesi il virus fu taciuto. Fu portato in Europa dalle truppe statunitensi a partire dal 1917.

Il tutto fu definito da biopsie effettuate su militari americani, isolando frammenti di virus, studiati sulla base delle moderne conoscenze.

Fu la più grande pandemia della storia dell’umanità, superiore per numero di morti alla peste nera del XIV secolo. Date le precarie condizioni di salute di molti, civili e militari, dovute ai lunghi anni di una guerra estenuante, mieté cinquanta/cento milioni di vittime, circa un miliardo quelle colpite. Purtroppo non esiste una stima certa, dati i tempi bellici e post bellici. Per questo nel corso del Novecento sono state fatte varie stime sul numero dei morti: la più recente (2018) li quantifica in 17,4 milioni.

Secondo alcuni studi la Spagnola inizialmente colpì di più i giovani con molte difese immunitarie, alcuni studiosi lo fecero risalire alla tipicità del virus che generava la morte per un’esponenziale produzione di citocine.

Poi morirono anche tanti vecchi e bambini per subinfezione batterica, stremati nel fisico, malnutriti a causa dei tre anni di guerra.

SINTOMI La spagnola si manifestò con febbre, dolori, astenia, problemi polmonari. Era fortemente contagiosa. All’epoca il più celebre antidoto era il chinino.

SACERDOTI I sacerdoti erano chiamati continuamente nelle case per amministrare “l’Olio Santo”. La Spagnola continuò a colpire nel 1919 e nel 1920. Si diffuse infatti a periodi anche con il grande caldo.

A PORDENONE Infierì anche a Pordenone e dintorni. Molti i ricoverati presso l’ospedale Santa Maria degli Angeli, annesso alla chiesa omonima detta del Cristo. Nell’agosto del 1919 “gli ammalati erano in numero straordinario tanto da non aver luogo ove metterli”.

Tutte le testimonianze ci conducono a fare continui confronti con quanto sta avvenendo in questi giorni di pandemia da Coronavirus.

Nel 1920 l’ospedale pordenonese fu trasferito nei locali delle ex caserme di via Montereale, dove sorge tuttora. “Il 7 febbraio vi furono trasferiti per primi gli ammalati di spagnola”. Molti morirono da profughi, lontani da casa dopo Caporetto.

Tra i morti di Spagnola anche i Beati Francisco e Giacinta Marto.