Domenica 22 marzo: omelia del Vescovo Pellegrini

Il Vescovo Giuseppe Pellegrini ha celebrato a porte chiuse la santa mesa di domenica 22 marzo dalla Chiesa del Cristo in Pordenone (teletrasmmessa dal canale 13). Il gesto d'amore di Gesù è per il cieco che riacquista la vista, il nostro gesto d'amore è rimanere a casa.

«Il gesto di carità e di amore è di rimanere tutti a casa»

 

«Carissimi fratelli e sorelle, il Vangelo di questa IV domenica di Quaresima è molto bello e articolato. Per questo vi invito a rileggere il cap. 9 di Giovanni in questa settimana, per meglio entrare nella preghiera con Dio. Gesù ci invita a non fermarci al fatto straordinario, ma ad andare oltre leggendo i significati nascosti. Il segno ha valore simbolico e ci indica il cammino di fede che porta al Signore. Un cammino per riconoscerlo come Salvatore. Il dono è il simbolo della fede. Credere in Gesù è acquistare la fede.

Gesù, tramite il cieco nato, ci chiede di vedere il mondo da un’altra prospettiva, per trovare il vero senso della vita e della storia. Notiamo che la guarigione avviene in modo graduale per indicarci che il cammino di fede è un passo dopo l’altro. Un cammino fatto di tappe e passaggi.

Il cieco vede Gesù prima come un uomo, poi come prefeta e poi come Signore perché ha scoperto che la grazia non è stata solo quella della vista fisica, ma di poterlo vedere e incontrare con gli occhi del cuore.

Carissimi fratelli e sorelle, mai come ai nostri giorni questo episodio evangelico è attuale  carico di significato. Tutti ci sentiamo come quel cieco. Siamo travolti da un male che non siamo capaci di vedere, ma è reale. Incapaci di trovare una soluzione e ci sta portando a chiuderci in noi stessi, ad avere paura di tutto e a perdere la speranza. Lo so che è difficile, ma non cediamo mai, fratelli e sorelle, alla disperazione. Mai.

Questi giorni che siamo chiamati a stare in casa, vi invito a guardarci dentro e vedremo che spesso ci siamo fidati solo del progresso, dimenticandoci di un Dio padre che ci ama sempre come figli (credenti e non senza distinzione alcuna), specie in questi momenti.

Dobbiamo ritrovare il contatto con il Signore perché ci riporta al dono della creazione, della vita che ci ha plasmato. Questo è il significato della terra impastata che Gesù spalma sul cieco: un ritorno alle origini come figli di Dio

E allora, carissimi, la domanda che fanno a Gesù è la stessa domanda di questi nostri tempi: che peccato abbiamo fatto? Perché questo virus? Di chi è la colpa? Se c’ò un Dio, perché succede tutto questo? Perché tantissimi morti con quelle immagini del camion dell’esercito trasportando bare su bare?

Carissimi, carissime, è giusto che ci facciamo anche noi queste domande perché non siamo capaci da soli di cogliere l’essenza. Pensavo di risponde a tutti, a tutto e ci siamo accorti che la gioia non c’è più, che non ci bastano da soli i principi della nostra intelligenza. La risposa di Gesù al cieco, obbliga tutti noi a guardare alla realtà non solo dalla prospettiva umana, ma anche dall’orizzonte di Dio. Anche se è difficile, ma è la conversione che il Signore ci domanda, ovvero: di collocare questa realtà all’interno di un progetto più grande, di trovare la speranza nelle pieghe e nelle pieghe di ogni situazione specie in quelle più oscure che oggi respiriamo. Con la fiducia che le certezze e le opere di Dio sono più grandi. L’opera di Dio è la carità verso tutti. Questo vi invito a gustare in questi giorni di dolore, con un invito: non fermiamoci di chiederci di chi è la colpa di tutto ciò, ma guardiamo alle opere di Dio che anche oggi in questo male fioriscono e ci sono. Quanto amore vedo anche qui in Pordenone e nella diocesi tutta, che sta nascendo e rinascendo: uomini e donne che si stanno consumando negli ospedali, come i nostri medici, infermieri, volontari della protezione civile, della croce rossa e di tanti giovani e anziani. Questa è la carità che tutti vedono e capiscono. Tutti.

In conclusione rafforzo e faccio mio, come Vescovo, l’appello delle autorità civili: restiamo in casa, non muoviamoci e viviamolo come un gesto d’amore, non solo di restrizione. Compiamo anche noi – come i medici sul campo – un gesto d’amore, il gesto di carità rimanendo a casa per non diffondere il contagio. Ogni casa sia una Chiesa domestica».

 

 

 

La chiesetta S. Maria degli Angeli, detta del Cristo, nel XVI secolo svolgeva servizio di assistenza religiosa al vicino ospedale. Più che mai attuale per questo tempo di dolore che stiamo vivendo a livello mondiale.

 

La S. Messa è stata concelebrata a porte chiuse in assenza di fedeli da:

 

–         Mons. Orioldo Marson, Vicario Generale

–         Mons. Otello Quaia, Parroco della Concattedrale di S. Marco in Pordenone

 

–         Commento televisivo a cura di don Maurizio Girolami, docente di patrologia

 

 

 

Il Vicario Generale, al termine della celebrazione, ha comunicato i seguenti avvisi:

 

  • Massima responsabilità da parte di tutti, nel rispetto delle regole.

  • Molti parroci vivono con creatività per raggiungere anziani e ammalati. Non lasciamo sola la nostra gente, facendo loro anche una telefonata (non una visita).

  • Nel sito della Diocesi vi sono le proposte preparate del Servizio diocesano di catechesi per vivere in casa la preghiera e la riflessione in questo tempo.

  • Le campane di tutte le parrocchie suoneranno ogni giorno, come segno di comunione secondo le precedenti disposizioni del Vescovo del 13 marzi scorso, alle ore 8-12-20.

  • Il 26 marzo il Vescovo Mons. Giuseppe Pellegrini ricorderà l’anniversario dell’ordinazione episcopale nel suo 9° anno. Ci uniamo a lui con la preghiera.

  • Le modalità operative di come vivremo la Settimana santa e la Pasqua, saranno comunicate nuove disposizioni domenica prossima.