Papa Francesco a Bari: Non c’è alternativa sensata alla pace

Dalla basilica di San Nicola, concludendo l’incontro “Mediterraneo di pace”, promosso dalla Cei a Bari, il Papa domenica 23 febbraio ha esortato esorta i vescovi ad essere “artigiani di pace”, in un Mare Nostrum caratterizzato da conflitti e contrapposizioni. No a estremismi e fondamentalismi, sì all’accoglienza – anche in campo teologico – che evita di innalzare muri. 

“La guerra è contraria alla ragione”. Domenica 23 febbraio dalla basilica di San Nicola – in una Bari definita da subito, a braccio, “capitale dell’unità”, dove ha scelto di tornare per la seconda volta, dopo l’incontro per la pace del 7 luglio 2018, con i capi delle Chiese cristiane – il Papa ha esortato i vescovi del Mediterraneo ad “agire come instancabili operatori di pace”, in un’area “insidiata da tanti focolai di instabilità e di guerra, sia nel Medio Oriente, sia in vari Stati del nord Africa, come pure tra diverse etnie o gruppi religiosi e confessionali”. Senza dimenticare “il conflitto ancora irrisolto tra israeliani e palestinesi, con il pericolo di soluzioni non eque e, quindi, foriere di nuove crisi”. La guerra “è un’autentica follia – il monito di Francesco – perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: mai la guerra potrà essere scambiata per normalità o accettata come via ineluttabile per regolare divergenze e interessi contrapposti”. Guardare al Mediterraneo, “già divenuto un cimitero, come a un posto di futura resurrezione di tutta l’area”, il mandato finale a braccio. Ai fedeli salutati sul sagrato della basilica, l’invito a pregare sempre, “nei momenti brutti si prega di più”. Nell’omelia della messa celebrata in Corso Vittorio Emanuele, a cui hanno partecipato 40mila persone, il Papa ha ricordato che “l’unico estremismo dei cristiani è quello dell’amore”. Durante l’Angelus, un nuovo appello per la pace in Siria.

“Il fine ultimo di ogni società umana rimane la pace, tanto che si può ribadire che non c’è alternativa alla pace, per nessuno”,

spiega il Papa dalla basilica di San Nicola: “Non c’è alcuna alternativa sensata alla pace”, perché la guerra è “il fallimento di ogni progetto umano e divino: basta visitare un paesaggio o una città, teatri di un conflitto, per accorgersi come, a causa dell’odio, il giardino si trasformi in una terra desolata e inospitale e il paradiso terrestre in un inferno”.

“La costruzione della pace, che la Chiesa e ogni istituzione civile devono sempre sentire come priorità, ha come presupposto indispensabile la giustizia”,

calpestata “dove sono ignorate le esigenze delle persone e dove gli interessi economici di parte prevalgono sui diritti dei singoli e della comunità” e dalla “cultura dello scarto, che tratta le persone come fossero cose, e che genera e accresce le diseguaglianze” aumentando il divario tra l’abbondanza e la lotta per la sopravvivenza. L’antidoto sono “le innumerevoli opere di carità, di educazione e di formazione attuate dalle comunità cristiane”.

“Lasciarsi guidare dalle attese della povera gente”, il criterio per “perseguire il bene comune”, coniato da Giorgio La Pira e fatto proprio dal Santo Padre.

Il fenomeno migratorio,” con le sue dinamiche epocali, segnerà profondamente la regione mediterranea, per cui gli Stati e le stesse comunità religiose non possono farsi trovare impreparati”. E’ l’appello del Papa rivolto non solo ai Paesi attraversati dai flussi migratori o a quelli di destinazione finale, ma anche ai Governi e alle Chiese degli Stati di provenienza dei migranti, che “con la partenza di tanti giovani vedono depauperarsi il loro futuro”. “Tra coloro che nell’area del Mediterraneo più faticano, vi sono quanti fuggono dalla guerra o lasciano la loro terra in cerca di una vita degna dell’uomo”, fa notare Francesco: “Il numero di questi fratelli – costretti ad abbandonare affetti e patria e ad esporsi a condizioni di estrema precarietà – è andato aumentando a causa dell’incremento dei conflitti e delle drammatiche condizioni climatiche e ambientali di zone sempre più ampie”, e incontra troppo spesso indifferenza e rifiuto.

“Si fa strada un senso di paura,

che porta ad alzare le proprie difese davanti a quella che viene strumentalmente dipinta come un’invasione”, la denuncia. “La retorica dello scontro di civiltà serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare l’odio”, la tesi di Francesco: “L’inadempienza o, comunque, la debolezza della politica e il settarismo sono cause di radicalismi e terrorismo”. “La comunità internazionale si è fermata agli interventi militari, mentre dovrebbe costruire istituzioni che garantiscano uguali opportunità e luoghi nei quali i cittadini abbiano la possibilità di farsi carico del bene comune”, la proposta del Papa, che dice insieme ai suoi confratelli vescovi: “Alziamo la voce per chiedere ai Governi la tutela delle minoranze e della libertà religiosa”.

“Non accettiamo mai che chi cerca speranza per mare muoia senza ricevere soccorso o che chi giunge da lontano diventi vittima di sfruttamento sessuale, sia sottopagato o assoldato dalle mafie”, l’appello per l’accoglienza, “processo non facile” ma che è “impensabile poterlo affrontare innalzando muri”.

“Mi fa paura sentire discorsi che seminano paura e si sentivano nella terza decade del secolo scorso”, rivela a braccio Francesco riferendosi a discorsi di alcuni leader populisti. Il Mediterraneo, invece, è “il mare del meticciato, culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione”. “C’è bisogno di elaborare una teologia dell’accoglienza e del dialogo, che reinterpreti e riproponga l’insegnamento biblico”, l’invito del Papa sulla scorta di quello lanciato nel giugno scorso a Napoli. Tra i destinatari dell’annuncio, Francesco cita in particolare i giovani.

Estremismi e fondamentalismi, tuona il Papa, “negano la dignità dell’uomo e la sua libertà religiosa, causando un declino morale e incentivando una concezione antagonistica dei rapporti umani”: di qui la centralità del Documento sulla fratellanza firmato ad Abu Dhabi, anche come base per costruire insieme l’accoglienza dei migranti.