Dal mouse alla stretta di mano

Le comunità virtuali non sempre corrispondono a una comunità vera, non sempre diventano incontro di persone che, almeno, si conoscono e, magari, fanno qualcosa insieme fino, addirittura, ad aiutarsi. Le virtuali sono comunità che condividono un interesse, dove si scambiano pareri e informazioni, ma nelle quali è facile manchi il dialogo con chi la pensa diversamente. Sono comunità che escludono, non comunità inclusive e accoglienti.

  a comunicazione è nata da uno sguardo, poi ha scoperto la parola, quindi la scrittura. E oggi? Basta un like o il suo contrario. Papa Francesco lo sa bene e per la cinquantatreesima Giornata per le comunicazioni sociali – che si ricorda il giorno dell’Ascensione, domenica 2 giugno -, ha centrato il suo messaggio su rete e social media. Non solo, traccia un percorso che suggerisce fin dal titolo: “Dalle social network communities alla comunità umana”.Se un giorno si passava dal reale (la comunità della piazza di paese) al virtuale (un computer dentro una stanza), è tempo, suggerisce Francesco, di imboccare un sentiero nuovo che porta dai social alle comunità concrete, dagli schermi degli smartphone alla stretta di mano, dal like all’abbraccio.Non è una retromarcia, come potrebbe sembrare. Francesco è ben immerso in questo tempo e consapevole, come infatti scrive, che “l’ambiente mediale è talmente pervasivo da essere indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano”. Ma sa pure che è un luogo esposto alla disinformazione, alla voluta distorsione dei fatti. E che aumentare le connessioni non significa aumentare la comprensione reciproca.Il testo che il papa ci affida possiede abbondanza di significati a cui attingere.Usa la metafora della rete:  vale per quelle virtuali che ci permettono di comunicare con tutto il mondo come per quelle reali con cui i pescatori riempiono le reti. Una rete funziona se le maglie sono a posto e i nodi ben saldi: “La rete funziona grazie alla compartecipazione di tutti gli elementi”. Lo stesso vale per la comunità: “E’ tanto più forte, quanto più è coesa e solidale”.E’ qui che si innesta il percorso che Francesco indica: le comunità virtuali non sempre corrispondono a una comunità vera, non sempre diventano incontro di persone che, almeno, si conoscono e, magari, fanno qualcosa insieme fino, addirittura, ad aiutarsi. Le virtuali sono comunità che condividono un interesse, dove si scambiano pareri e informazioni, ma nelle quali è facile manchi il dialogo con chi la pensa diversamente. Sono comunità che escludono, non comunità inclusive e accoglienti. A queste ultime, invece, il papa mira e, affinché il messaggio sia chiaro, aggiunge una citazione che alza di molto l’asticella dell’impegno di ciascuno di noi: “Siamo membra gli uni degli altri” (Efesini 4,25).Questa è la vita vera, la comunità modello. Solo con l’impegno l’altro si fa parte di me. Se così fosse, si sgretolerebbero i punti oscuri della rete: i commenti cattivi, gli insulti in tutte le sfumature fino alle vessazioni (non dimentichiamo che ci sono persone che non hanno retto al linciaggio mediatico).Francesco scrive di una rete che non è autoisolamento, che non bullizza (un ragazzino su quattro ne è stato vittima almeno una volta), non inganna con finte personalità che possono vivere nella menzogna solo perché si nascondono dentro uno schermo.Scrive di una rete che è a servizio dell’uomo: che moltiplica connessioni come presenze amiche, che si tengono in contatto quando sono lontane ma per progettare un incontro vero; come famiglie che durante la giornata si raccontano quello che fanno ma che poi siedono a tavola insieme; come comunità che si informano di quanto accade ma che sanno stare e fare e costruire fianco a fianco – proprio come membra dello stesso corpo – qualcosa di buono per tutti.