Omelia della Santa Pasqua, vescovo Giuseppe Pellegrini

Mantenere ferma l’identità fra il crocifisso e il risorto è essenziale. Perché la croce non è semplicemente l’icona di un martire qualsiasi, che è rimasto fedele a Dio sino a dare la vita per Lui, ma è l’icona di un martire con un volto ben preciso: il volto di Gesù di Nazareth. 

Il crocifisso è risorto!

Possiamo ben affermare che il giorno di Pasqua, che ha il suo inizio con la Veglia Pasquale e termina con il racconto dei due discepoli di Emmaus, riassume la vicenda dell’umanità, della sua storia e anche della nostra storia personale, perché ci invita ad aprirci ad un futuro nuovo, inimmaginabile, dove la morte, che è il primo nemico, viene sconfitta dalla risurrezione di Gesù, il vivente. Così la liturgia canta nel Preconio Pasquale: “Gioisca la terra inondata da così grande splendore, la luce del re eterno ha vinto le tenebre del mondo”.

Tutta la storia della salvezza, a partire dall’origine del mondo, ha il suo punto culminante nell’annuncio dato alle donne dai due angeli: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto!” (Luca 24,5-6). Quando Dio ci raggiunge e desidera incontrarci, non vuole che rimaniamo passivi e rassegati, perché la sua parola non è mai solo da ascoltare e basta, ma chiede coinvolgimento e accoglienza, domandandoci di entrare nel profondo di noi stessi per comprendere le motivazioni e il significato più profondo della vita. Ecco perché ci provoca con la domanda: “Perché cercate …”. La Pasqua di Gesù ci sollecita a interrogarci su che cosa cerchiamo veramente nella nostra vita. Siamo disposti ad uscire dagli schemi preconfezionati e da una mentalità mondana che spesso appiattisce e anestetizza, e chiederci veramente se stiamo cercando Gesù tra i morti, tra i ricordi del passato, o non invece nella quotidianità della vita, nelle persone che incontriamo ogni giorno e nella solidarietà verso tutti? Stiamo cercando il significato vero della Pasqua oppure ci fermiamo ancora ai ricordi del passato, a delle conoscenze avute da piccoli, senza più i necessari approfondimenti per alimentare e sostenere la nostra fede oggi? Pasqua significa passaggio, e secondo la tradizione ebraica, è il passaggio del popolo dalla schiavitù alla libertà, dalla sofferenza alla gioia, dal pianto alla festa, dalle tenebre alla splendida luce, dall’oppressione alla redenzione. Per noi cristiani la Pasqua è anche la festa della liberazione dalla morte che per primo ha vissuto Gesù di Nazareth e che viene donata e partecipata anche a noi, in quel gesto di amore gratuito di una vita spesa per gli altri, di un amore che si è fatto dono fino alla fine, capace di vincere la stessa morte. Capita anche a noi, come è successo ai discepoli e alle donne di restare scettici e increduli, paurosi e dubbiosi di fronte al messaggio della risurrezione. Siamo invitati a verificare se, il passare del tempo e l’abitudine di ‘credere’ al vangelo e alla risurrezione di Gesù, non abbiano logorato un po’ quell’entusiasmo e quella gioia che dovrebbe dimorare nel nostro cuore e far trasparire nella vita.

C’è un particolare nel Vangelo di Luca della Messa di Pasqua che ci aiuta a dare una risposta ancora più vera alle domande che ci siamo posti. “Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in galilea: ‘Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno” (24,6-7). C’è uno stretto legame fra il Crocifisso e il Risorto. La resurrezione di Gesù non è una generica vittoria sulla morte. In effetti gli angeli non si limitano ad annunciare alle donne che Gesù è risorto, ma volutamente attirano l’attenzione sul fatto che chi è risorto è il Crocifisso. Mantenere ferma l’identità fra il crocifisso e il risorto è essenziale. Perché la croce non è semplicemente l’icona di un martire qualsiasi, che è rimasto fedele a Dio sino a dare la vita per Lui, ma è l’icona di un martire con un volto ben preciso: il volto di Gesù di Nazareth.  È il volto di un uomo che ha predicato un Dio diverso e per molti scandaloso, vivendo uno stile di vita diverso. Questa diversità è stata la ragione della sua condanna a morte, ma che Gesù ha sostenuto essere l’immagine più fedele del vero volto di Dio. La resurrezione è la prova inconfutabile che in quella diversità, Dio si è riconosciuto. Da qualsiasi lato si osservino, la croce e la resurrezione si richiamano, illuminandosi vicendevolmente. La croce dice il volto nuovo del Dio rivelato da Gesù, e la resurrezione dice che Dio in quel volto si è pienamente riconosciuto. Se non si separa il Risorto dal Crocifisso, allora si comprende anche un altro tratto specifico della stessa resurrezione. È estremamente facile ridurre quest’ultima a una generica vittoria della vita sulla morte. Lo specifico cristiano scende più in profondità. Infatti non ogni esistenza è sottratta alla gloria e alla vanità, ma soltanto quella che ripercorre il cammino tracciato dal Crocifisso: soltanto una vita donata conduce alla resurrezione, la quale celebra la vittoria di un preciso modo di vivere: una vita tutta vissuta e donata per amore, dell’amore che vince la morte.

Carissimi, desideriamo che anche per noi, la Pasqua porti novità, luci di speranza e significato vero alla vita. Nonostante le fatiche e le contraddizioni, è necessario portare nel mondo il messaggio della Pasqua, aiutando le persone a vivere e attuare un vero cammino di umanizzazione, proprio dove ci sono ancora tenebre, sofferenze, guerre e sopraffazioni. Così capita nei campi profughi sparsi nel mondo, dove tanti buoni samaritani si piegano sui corpi soffrenti e impauriti; capita nelle chiese distrutte dalla furia omicida del fondamentalismo, dove risuona ancora il canto di risurrezione di Pasqua; capita nel cuore di tanti giovani e adulti sopravvissuti ai vari attentati, che con il desiderio di vita ci ricordano che il bene è più forte del male; capita nel disagio di persone attanagliate dalle ‘dipendenze’, dai poveri e dagli immigrati della città e dei paesi, dove una parola amica, un gesto di solidarietà o un pasto condiviso, sciolgono il rigore della chiusura e dell’indifferenza; capita tra i flutti di un Mediterraneo reso ostile dall’uomo, dove tanti ‘angeli’ offrono aiuto, conforto e speranza di una vita migliore.

In questo santo giorno ognuno consideri se stesso uscito dalle tenebre della morte, liberato da ogni paura e schiavitù. È il mio augurio più caro e sincero di una Santa Pasqua.

+ Giuseppe Pellegrini, vescovo