Immacolata fin dal primo istate della concezione

Sabato 8 dicembre è la solennità dell'Immacolata: che cosa significa?

    L’8 dicembre 1854 con la bolla “Ineffabilis”, Pio IX proclamava il dogma dell’Immacolata: “La Beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio Onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, fu preservata da ogni macchia di peccato originale”. Questa verità di fede viene da lontano. Già Agostino, dando voce alla fede condivisa da tutta la chiesa, diceva nel suo trattato “De natura et gratia” (36,42) che tutti gli uomini devono riconoscersi peccatori “eccettuata la santa Vergine Maria, della quale, per l’onore del Signore, non voglio assolutamente che si faccia questione quando si parla di peccato”. In un kontàkion di Romano il Melode (sec. VI) l’Oriente bizantino prega: “Gioacchino ed Anna furono liberati dall’obbrobrio della sterilità e Adamo ed Eva dalla corruzione della morte, o Immacolata, per la tua natività. Questa festeggia il tuo popolo, il tuo popolo, riscattato dalla schiavitù dei peccati, esclamando a te: – La sterile partorisce la Madre di Dio e nutrice della nostra vita-“. Nel sec. XII dall’Oriente la festa dell’Immacolata passa in Occidente per merito dei francescani. Sei secoli più tardi, nel 1854, la proclamazione del dogma. Il Concilio Vaticano II ha scelto di collocare il mistero dell’Immacolata all’interno del mistero più grande della Redenzione: “Arricchita fin dal primo istante del suo concepimento dagli splendori di una santità particolare, la Vergine di Nazaret…., acconsentendo alla parola divina divenne Madre di Gesù, e aderendo con tutto l’animo e senza nessun ostacolo di peccato alla volontà salvifica di Dio votò totalmente se stessa, come ancella del Signore, alla persona e all’opera del Figlio suo, mettendosi al servizio del mistero della redenzione sotto di lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente” (Lumen Gentium VII,56). Il prefazio della solennità dell’Immacolata sintetizza le parole del Concilio: “Tu hai preservato la Vergine Maria da ogni macchia di peccato originale, perché, piena di grazia, diventasse degna Madre del tuo Figlio”. La Liturgia ha scelto di far dialogare il testo di Gen 3,9-15.20 (racconto del peccato di Adamo ed Eva) con il testo di Lc 1,26-38 (la vocazione di Maria e l’annuncio del Figlio-Messia) attraverso la mediazione di Ef 1,3-6.11-12 (l’euloghia paolina sul progetto salvifico di Dio e la sua realizzazione).

Dimensione letteraria. Il testo biblico e testo biblico-liturgico di Lc 1,26-38 coincidono. La Liturgia ha tagliato l’espressione iniziale “Nel sesto mese”, sostituendola con l’incipit classico “In quel tempo”. Questa scelta, che creava un parallelo tra l’annuncio di Gabriele e Zaccaria e l’attuale annuncio, isola la maternità di Maria da quella di Elisabetta. Il testo evangelico è racchiuso letterariamente tra l’arrivo dell’angelo (“l’angelo Gabriele fu mandato da Dio..”) e la sua uscita di scena (“E l’angelo si allontanò da lei”). Il testo si divide in due momenti conclusi da un intervento di Maria: il primo per chiedere, il secondo per affidarsi totalmente alla Parola. Il luogo dell’annuncio è Nazaret, in Galilea, territorio pagano (“Galilea delle genti”) su cui sarebbe comparsa una “grande luce”, secondo la profezia di Isaia (8,23).

Riflessione biblico-liturgica. a. Il peccato delle origini (Gn 3,9-15.20), che aveva fatto sognare all’uomo di diventare dio di se stesso, ha invece scompaginato il sogno di Dio: l’umanità si è posta contro Dio, l’uomo contro la donna, l’umanità in disaccordo con il creato e la morte ha cominciato a regnare sovrana. In questo quadro tragico Dio nel “Protovangelo” (Gen 3,15) annuncia la futura redenzione: il male sarà schiacciato. La Liturgia della Parola gioca sullo schema “promessa” (prima lettura) – “adempimento” (vangelo). Il vangelo, dunque, mostra come Dio nella sua infinita e misericordiosa sapienza adempia alla promessa antica della vittoria sul male.b. L’angelo si rivolge a Maria chiamandola “piena di grazia”, in greco: “kecharithomène”, (Lc 1,28). L’espressione indica che Maria è la destinataria di tutto ciò che Dio può offrire come dono ad una creatura umana. c. Di fronte a questo progetto di amore salvifico divino l’uomo resta felicemente stupito, contemplando come Dio “tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà” (Ef 1,11).