Salviamo Asia per salvare il mondo

Per Asia è stata decisa l’impiccagione, confermata in appello nel 2014, sospesa nel 2015. I primi di ottobre la Corte Suprema doveva emettere il verdetto finale: atteso di giorno in giorno. 

Perdere la vita per un sorso d’acqua: è quello che rischia Asia Bibi, una cinquantenne pakistana, madre di cinque figli, in carcere da nove.

I fatti: Asia fa la bracciante agricola nel villaggio di Ittanwali, nel Punjab. Un giorno va a riempire un catino d’acqua per le lavoranti. La sete è tanta e, mentre ancora cammina, ne beve un sorso.

Il reato: Asia è cristiana e quindi impura. Le musulmane la accusano di aver contaminato l’acqua. Nasce un alterco. Secondo le donne nel litigio Asia avrebbe offeso il Profeta: il che in Pakistan non è un peccato ma reato di blasfemia. Asia viene incarcerata, processata e condannata a morte. Per noi è inconcepibile, in Pakistan la sentenza rispetta le leggi dello Stato.

L’iter. Il fatto è accaduto nel giugno del 2009. Asia ha cambiato più di un carcere nell’attesa che la vicenda giudiziaria finisse. Mentre in Pakistan si susseguivano le fasi processuali, in Europa e nel mondo ci sono state petizioni, raccolte di firme, preghiere collettive e appelli per salvarle la vita e concedere alla famiglia il trasferimento in Francia, che si è detta pronta ad accoglierli.

Il marito, Ashiq Masih, nel 2016 ha chiesto la grazia al presidente pakistano; nel febbraio del 2017 – grazie all’associazione Chiesa che soffre – ha raggiunto l’Italia con la figlia Eisham per incontrare papa Francesco. Anche il suo appello pare inascoltato. Ma grazie all’incontro è stato possibile far arrivare ad Asia il rosario benedetto da Francesco: unico segno religioso concessole.

Asia ha due aggravanti: è cristiana ed è donna. Quanto sia difficile la condizione femminile in Pakistan lo dicono le due storie simbolo di Malala (colpita mentre si recava a scuola e poi Premio Nobel per la Pace) e del primo ministro Benazir Buttho (uccisa il 27 dicembre del 2017, colpevole d’aver usurpato il posto ad un uomo).

In più Asia è cristiana in una terra integralista. Rischiare la vita per un sorso d’acqua è un assurdo che si ripete. Il 30 agosto 2017 il diciasettenne Sharon Masih è stato ucciso a calci e pugni da compagni di scuola, lui unico cristiano in una classe di musulmani: aveva preso un bicchiere d’acqua da un vaso loro riservato.

La vita dei cristiani è resa più difficile da quando nel 1986 è stato introdotto il reato di blasfemia per chi “con parole o gesti o rappresentazioni visibili, con insinuazioni dirette o indirette, insulta il Profeta”. Contempla l’ergastolo e l’esecuzione capitale.

Per Asia è stata decisa l’impiccagione, confermata in appello nel 2014, sospesa nel 2015. I primi di ottobre la Corte Suprema doveva emettere il verdetto finale: atteso di giorno in giorno.

Il suo caso è emblematico e difficile: la discriminazione dei cristiani è sancita dalla Carta costituzionale pakistana che esclude i non musulmani dai vertici delle carriere. I cristiani, circa l’1% della popolazione, vivono soprattutto nel Punjab, terra dove gli attentati si ripetono.

Per capire quanto sia ritenuto grave il reato di blasfemia basti il ricordo della strage avvenuta a Parigi nel gennaio 2015 legata alle vignette di Charlie Ebdo.

La libertà di espressione, di culto e la pacifica convivenza sembrano principi assodati ma non lo sono. La realtà dei giorni, dal Pakistan fino a qui, dimostra che la strada è salita fino a che c’è un “noi” che prevale su un “loro”. Unirsi a chi chiede di salvare Asia Bibi è anche dare voce alla speranza di salvare il mondo da tragiche derive.