Trinità delle Persone, unità della Natura: irraggiungibile dal nostro pensiero

Nella Bibbia non c’è il vocabolo "Trinità". Compare nel sec. II d.C.in un'opera di Teofilo, vescovo di Antiochiai

Mt 28,16-20In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Tematica liturgicaNella Bibbia non c’è il vocabolo “Trinità”. Nel sec. II d.C. Teofilo, vescovo di Antiochia, scrive l’Apologia ad Autolico: in quest’opera compare per la prima volta il nome “Trinità” che non significa “trimurti” (induismo), ma semplicemente l’Unità di Tre (Tre-Unità). Di fronte alla Trinità si possono subito comprendere due cose. La prima cosa che si può ben comprendere la poca cultura di chi afferma che la dottrina della Trinità “deve risalire a circa 350 anni dopo la morte di Gesù Cristo. I primi cristiani, che furono ammaestrati da Gesù Cristo, non credettero dunque che Dio sia una Trinità”. C’è poi da notare che chi pretende di far risalire al sec. IV d.C. la dottrina della Trinità, forse non conosce almeno due affermazioni neotestamentarie molto forti. La prima è di Mt 28,19 (cfr il vangelo odierno, Mt 28,16-20): “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. La seconda è di Paolo: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”. (2Cor 13,13). La seconda cosa da comprendere è che di fronte al Mistero della Trinità è necessario avere l’umiltà dell’intelligenza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (= CCC) dice chiaramente che “le parole umane restano sempre al di qua del Mistero di Dio” (CCC42) e che “essendo la nostra conoscenza di Dio limitata, lo è anche il nostro linguaggio su Dio” (CCC 40). A rincarare la dosa ci si mette anche S. Tommaso d’Aquino: “Dio si onora col silenzio non perché non si parli affatto o non si indaghi per niente su di lui, ma perché prendiamo coscienza che rimaniamo sempre al di qua di una sua comprensione adeguata”.Il nostro tessuto socio-culturale che pretende di sapere tutto di tutto, resta disorientato davanti a quanto appena detto sul Mistero di Dio, Uno e Trino. La Trinità, infatti, è un invito alto e nobile all’uomo perché rifletta sulla grandezza e sul limite della ragione e dell’intelligenza umane. La Bibbia come la Liturgia invitano l’uomo non a cercare ciò che la Trinità è, ma ciò che la Trinità attua. La Colletta, infatti, riassume questo concetto attraverso l’esperienza del Battesimo (“battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”), attraverso la preghiera (“lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”) e attraverso la predicazione del vangelo (“non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”): “O Dio altissimo, che nelle acque del Battesimo ci hai fatto tutti figli nel tuo unico Figlio, ascolta il grido dello Spirito che in noi ti chiama Padre, e fa’ che obbedendo al comando del Salvatore, diventiamo annunciatori della salvezza offerta a tutti i popoli”.

Dimensione letterariaIl testo evangelico di Mt 28,16-20 costituisce il brano finale del vangelo di Matteo, una specie di brano che in qualche modo riassume il primo vangelo. Il testo biblico inizia così: “Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea…”. L’avverbio “intanto” colloca in parallelo l’incontro del risorto con i suoi sul monte indicato e le dicerie che correvano sul furto del corpo di Gesù (Mt 28,11-15). Il testo liturgico toglie l’avverbio, slegando il testo dalle dicerie e aggiunge il classico incipit “in quel tempo”: “In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea…”. La parte narrativa del testo (Mt 28,16-18a) presenta i discepoli, ridotti in undici, perplessi di fronte al Risorto: essi dubitarono. La forma del verbo greco (aoristo) potrebbe indicare un dubbio temporaneo. La parte discorsiva (Mt 28,18b-20) presenta le parole di Gesù che iniziano con una dichiarazione di autorità (“A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”). Segue il comando dell’invio in missione (Mt 28,19-20a) e la sua promessa che è una garanzia (Mt 28,20b).

Riflessione biblico-liturgicaa. Il dubbio degli undici non è senz’altro il dubbio corrosivo che porta al rifiuto, bensì il dubbio fertile, aperto, positivo, che cerca una risposta, un approfondimento. Diversamente Gesù non si sarebbe rivolto agli undici per affidare loro  la missione.b. Il potere di cui Gesù parla è sia il potere divino (sovranità divina sulla storia e sulla natura) sia quello di satana sul mondo degli uomini. Suo è tutto il potere perché egli è Dio. Suo è anche quel potere che Satana aveva usurpato per la debolezza dell’uomo.c. La missione “fare discepole di Gesù tutte le genti” è scandita in due momenti: l’innesto del credente nella realtà di Dio, uno e trino, e l’insegnamento di tutto ciò che Gesù ha “comandato”. Egli è sempre presente nella storia con i suoi che attuano la missione perché Gesù è l’Emanuele (Dio con noi).