Commento al Vangelo
Il Padre è il vignaiolo; Gesù la vite, i discepoli i tralci
"Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto"
Gv 15,1-8In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.
1. Tematica liturgicaGesù parla di sé attraverso immagini profetiche. Dopo essersi manifestato come il “pastore modello” (buon pastore), oggi Gesù si rivela come la vera vite. Da questa immagine, il Maestro fa derivare la figura del Padre come vignaiolo. Che il Padre fosse un provetto agricoltore che si preoccupa della sua vigna, era un tema già illustrato dal cantico di Is 5,1-6. Dalla stessa immagine di Gesù-vite, il Maestro fa derivare anche la figura dei discepoli come i tralci. L’affermazione di Gesù (“Senza di me non potete far nulla) è stata molto studiata dai teologi. Essi la spiegano più o meno così: se il cristiano è una cosa sola con Cristo, ogni opera buona fatta dal cristiano ha un valore infinito perché è un’opera compiuta anche da Cristo; se il cristiano non è una cosa sola con Cristo, ogni azione buona ha un valore limitato, perché ha solo valore umano. Rimanere uniti a Lui equivale a far rimanere nel proprio cuore le sue parole (“rimanete in me e le mie parole rimangono in voi”). Quando le sue parole entrano nella mente e nel cuore del credente, spingono a pensare, vedere e giudicare la realtà come Lui. Rimanere uniti a Gesù significa, perciò, diventare capaci di portare frutto. E il frutto più importante è essere suoi discepolo. La conclusione del brano evangelico, infatti, lo dice chiaramente: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. Nella prima lettura (At 9,26-31), Paolo e i membri della comunità nascente vengono presentati come il più bel esempio di come si possa essere una cosa sola con Cristo, portar frutto ed essere discepoli del Maestro. La Colletta propria rilegge in chiave pastorale la dimensione teologica del vangelo e illustra quella “umanità nuova” che porta “frutti di santità e di pace”. L’immagine della vite che Gesù applica a sé non è facilmente identificabile con qualche testo preciso anticotestamentario. È tuttavia evidente lo sfondo culturale e teologico dell’A.T. Nel mondo biblico, la vite aveva un valore altamente simbolico. La distruzione della vite era il segno più crudo di una calamità disastrosa (cfr Sal 80,8-16; Ez 19,10-14). All’opposto, la presenza della vite e il suo frutto erano segno sia della benevolenza di Dio verso il suo popolo. Erano, pure, segno del futuro regno escatologico. In quest’ottica l’automanifestazione di Gesù ha un valore che va oltre al rapporto Padre-vignaiolo e Figlio-vite oppure Figlio-vite e discepoli-tralci. Il Maestro afferma di essere, nella storia, l’anticipo del regno futuro.. Dimensione letterariaIl testo evangelico di Gv 15,1-8 è solo una parte del lungo discorso giovanneo dell’ultima cena. Il brano che riguarda l’immagine della vite e dei tralci è più ampia del brano odierno. La sua estensione è Gv 15,1-17, dove il tema del frutto crea una inclusione letteraria (Gv 15,2.16). Il testo di Gv 15,1-8 è, dunque, un testo volontariamente scelto (eclogadico) per soffermare l’attenzione su un tema fondamentale: non si diventa discepoli di Cristo seguendo le proprie fantasie, ma accogliendo la Parola del Maestro e rimanendo uniti a Lui.Letterariamente il testo di Gv 15,1-8 è suddivisibile in tre parti Nella prima, Gv 15,1-4 (“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo”), viene illustrata l’opera del Padre e del Figlio. La seconda parte, Gv 15,5-7 (“Io sono la vite, voi i tralci”), presenta l’importanza fondamentale per i tralci di rimanere uniti alla vite-Cristo. La terza parte, infine, Gv 15,8-11 (“In questo è glorificato il Padre mio”), l’ultima strofa irregolare tocca il tema del legame tra Padre, Figlio e discepoli.Il testo biblico-liturgico del vangelo aggiunge al testo biblico originale solo: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli”).
Riflessione liturgico-biblicaa. Nella vite ci sono tralci vivi produttivi e tralci morti improduttivi. Chi non porta frutto (non crede in Cristo) non è considerato vivo e perciò il Padre lo taglia e lo getta nel fuoco (v.6). Stando alla teologia giovannea chi non porta frutto è apostata o chi commette il peccato per la morte (cfr 1 Gv 5,16).I tralci produttivi vengono “purificati”, cioè “resi vivi” dalla Parola (“Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato”).b. La Parola di Cristo non è solo il messaggio, ma contiene “spirito e vita” (cfr Gv 6,6). Quando la Parola abita il discepolo, il discepolo è una cosa sola con Cristo. Ciò porta i suoi risultati: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. Si tratta di un’endiadi: il rimanere in Cristo porta il frutto del discepolato.