Commento al Vangelo
La vita eterna, già oggi
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Gv 3,14-21.In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.
Tematica liturgica”Dominica laetare”: Domenica “rallegrati”. È il nome dato nel Medio-Evo alla quarta domenica di Quaresima. In questa domenica, i penitenti sospendevano la penitenza che il vescovo aveva loro dato il mercoledì delle ceneri, in attesa dell’assoluzione nel mattino del giovedì santo. Il nome deriva dall’inizio dell’antifona d’ingresso: “Rallegrati (laetare), Gerusalemme,……Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza”. Questo aspetto oggi non è più sentito. La Chiesa, però, ha voluto tenere questa antica abitudine per due motivi. Il primo: il cammino di conversione quaresimale è giunto a metà del suo percorso e, per questo, la Chiesa annuncia che la salvezza offerta da Dio è a portata di mano di chiunque la scelga. Il secondo motivo: il cristiano può avere la vita eterna fin da subito: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (vangelo: Gv 3,14-21). L’importanza della fede in Gesù (persona, parole, opere) è fondamentale. Si tratta di quella fede che incammina il cristiano verso la fedele sequela e progressiva imitazione del Maestro. Il tema della fede e dell’accoglienza della Parola di Dio viene toccato anche dalla prima lettura (2Cr 36,14-16.19-23). Viene purtroppo toccato per antitesi . Gli ebrei, infatti, “si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti”. Questo rifiuto generò scelte politiche che provocarono l’invasione di Nabucodonosor e il conseguente esilio degli ebrei a Babilonia. Mentre l’atteggiamento degli ebrei meritò il castigo dell’esilio, l’atteggiamento del cristiano che crede in Cristo e accoglie il suo messaggio, vivendolo, ottiene la salvezza: “Per grazia infatti siete stati salvati mediante la fede” (seconda lettura, Ef 2,4-10). La salvezza, dunque, viene a noi “per grazia”. Qualcuno potrebbe chiedersi da dove venga questo concetto. Il concetto è semplice: l’ha stabilito Dio. Da soli non riusciremo mai ad arrivare lì dove Dio ci attende. Dio a noi chiede solo quello che possiamo (niente di più, ma niente di meno!). Chiede di credere: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”. La fede richiesta è una fede operosa.
Dimensione letterariaIl testo del vangelo odierno, Gv 3,14-21, è il piccolo frammento finale del dialogo tra Nicodemo e Gesù (Gv 3,1-21). Il testo odierno è composto da tre pericopi: Gv 3,14-15 (conclusione della riflessione sul modo con cui accade la rinascita dall’alto); Gv 3,16-17 (tema dell’amore di Dio per il mondo e del dono del Figlio per la salvezza del mondo); Gv 3,18-21 (tema della risposta dell’uomo che, attraverso la fede nel Figlio e le opere che ne derivano, accoglie l’amore di Dio e vi corrisponde). Il testo che ne risulta, a livello tematico, può essere diviso in due parti. Nella prima, Gv 3,14-15, si trova il paragone tra il serpente di Mosé innalzato e il Figlio dell’Uomo innalzato nella sua morte: in ambedue casi è sgorgata la salvezza. Nella seconda parte, Gv 3,16-21, c’è la riflessione sulla figura del Figlio. Egli viene mandato dal Padre con il compito di salvare (e non di giudicare) l’uomo. L’uomo, a sua volta, credendo nel Figlio, accoglie la salvezza. La Liturgia aggiunge al testo evangelico un’introduzione (“In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo”).
Riflessione biblico-liturgicaa. Nel libro dei Numeri (Nm 21,4-9) si narra l’episodio dove gli Ebrei, che completavano l’esodo dall’Egitto alla terra promessa, entrarono nella valle dei serpenti. Morsicati dai rettili, evitavano la morte guardando verso un serpente di rame, innalzato su un legno da Mosé. Nel vangelo di Giovanni il “guardare” non significa solo “vedere”, ma anche “credere”. Inoltre, Giovanni adopera il verbo “innalzare” per indicare la crocifissione, ma anche la risurrezione di Gesù. Ne consegue che guardare verso Gesù “innalzato” (come il serpente di bronzo”) equivale a “credere in Cristo crocifisso e risorto”.b. Per Giovanni, infine, “credere in Gesù” significa avere in sé, fin da oggi, la vita eterna e, perciò, aver già superato il giudizio (“Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato”: Gv 3,18; cfr “Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”: Gv 5,24).