Costume e Società
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Scuola dell'obbligo, a che punto siamo?

Nel nostro Paese la scuola dell'obbligo non riguarda ancora tutti. Restano molti ancora i ragazzi privi di un'adeguata istruzione. Dietro a questa situazione ci sono ragioni storiche, culturali. Eppure non sono mancate le azioni politiche per cambiare le cose.

Scuola dell'obbligo, a che punto siamo?

In questi giorni finisce il primo quadrimestre. Si riuniscono i Consigli di classe, si fanno le debite verifiche. Si definiscono gli obiettivi per gli ultimi quattro mesi. Giunti a metà anno scolastico possiamo anche noi chiederci se le nostre scuole funzionano. Abbiamo affidato loro le giovani generazioni, il nostro futuro. E, fra strutture, stipendi, libri e materiale didattico, costano a famiglie e Stato, cioè a noi cittadini, un bel po’.
E cosa ci aspettiamo dalla scuola? La promozione a giugno e alla fine il diploma che assicuri un posto di lavoro qualificato. Nessun ufficio o azienda assume chi non ha un minimo titolo di studio.
Negli altri Stati d’Europa l’obbligo scolastico termina a 16 anni, due in più rispetto all’Italia che ha pure il record negativo della dispersione scolastica. Il 4,8% degli alunni non termina il percorso educativo. E’ anche noto che l’italiano medio non ha un grande felling con la lettura. Nelle nostre case è raro trovare una piccola libreria. Terminato il percorso scolastico, rischiamo l’analfabetismo di ritorno. In quasi tutte le domande di laureati per un posto pubblico, la commissione ha trovato almeno due errori di ortografia.
In ogni caso la scolarizzazione in Italia è storia recente. Sino all’inizio Ottocento le scuole erano riservate ai "siori". I rampolli dei nobili avevano i precettori di corte. C’erano poi istituti e collegi tenuti da ecclesiastici dove la materia più importante era il latino. Nelle città c’erano le elementari, quelle di cui parla il De Amicis. Nella campagna, sino al primo decennio del secolo scorso, dilagava l’analfabetismo.
"Coscrizione scolastica", così era chiamato l’obbligo scolastico nel dibattito che nella seconda metà del secolo XIX infiammò l’opinione pubblica e una parte di borghesia mal sopportava l’istruzione popolare per timore che i mezzadri lasciassero i campi.
Il primo decreto sull’obbligo scolastico è del 1859 e la scuola elementare aveva due classi. Nel 1877, col governo della sinistra storica, le classi furono tre con sanzioni per i non ottemperanti senza le quali l’obbligo scolastico restava lettera morta. Il decreto passò per qualche voto di differenza perché l’opposizione sosteneva che fosse impossibile avere insegnanti e edifici nei paesi di montagna e del Meridione e che convenisse rinviare la lotta all’analfabetismo a tempi migliori.
Ministro alla Pubblica istruzione allora era l’onorevole Cupino che qualche anno dopo fece altri due atti di rilievo: l’innalzamento alla quarta e quinta elementare e l’istituzione di scuole tecniche o dell’avviamento al mondo del lavoro.
L’obbligo fino a 14 anni fu ufficialmente istituito dal ministro Gentile nel 1923, per aderire a una convenzione internazionale e, dobbiamo riconoscere che il governo si impegnò nell’edilizia scolastica, nella formazione degli insegnanti (le scuole magistrali) e nella strutturazione di progetti educativi. I lettori più anziani ricorderanno che fino agli anni sessanta nella scuola dell’obbligo esisteva un doppio percorso: quello per le classi rurali che terminava con la quinta elementare e quello per le scuole cittadine, frequentando le quali potevi entrare al "ginnasio che allora era di tipo classico. Chi veniva dalle campagne poteva entrarvi solo dopo l’esame di ammissione, tutt’altro che facile.
Nel 1960 si abolì l’esame di ammissione e nell’autunno 1963 divennero obbligatorie le tre classi medie a cominciare dai nati nel 1959.
Con la licenza di terza media, da allora, tanti ragazzi continuarono fino alla maturità. Nacquero ovunque, accanto alle scuole di tipo umanistico, le superiori per diventare periti, ragionieri, geometri e altri corsi di specializzazione. Si moltiplicarono le università e mentre la classe operaia si stava ridimensionando crebbe quella studentesca che cominciò a scendere in piazza al grido di "largo ai giovani e la fantasia al potere".
Un vecchio mondo, la civiltà contadina fondata sulle tradizioni, in pochi anni scomparve e apparve il giovanilismo con il sogno di cambiare il mondo.
Sogni e ideologie divennero benzina per un’impressionante accelerazione generazionale e qualche volta la benzina riempì le bottiglie molotov negli scontri con le forze dell’ordine.
Poco per volta anche nelle scuole è finita l’era dei sogni, a volte farneticanti e delle ideologie. Poco per volta gli insegnanti si sono rimessi ad insegnare e gli studenti hanno capito che col 6 politico non si va da nessuna parte.
Con la crisi industriale anche le masse operaie si sono sfaldate. Le nuove sfide ora non vengono più dall’Est comunista ma dal Sud ove la popolazione cresce a dismisura e preme ai nostri confini. Le nostre città e paesi aumentano senza tregua gli asiatici e gli africani, che lavorano e commerciano, vanno a scuola con i nostri figli, portando con sè altre culture e tradizioni. Il quadro è complesso e carico di tensioni.
Nel secolo scorso, in Occidente come in Cina, la primavera di Praga come le primavere arabe, sono sempre divampate dalle masse studentesche.
E ora con un mondo che non riesce ad assestarsi, che potrà mai capitarci dall’attuale popolazione scolastica? Chi vivrà vedrà.

Fonte: Redazione Online
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