Costume e Società
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La messa beat

La chitarra sia con voi

La messa beat

Il dopo Concilio da queste parti portò varie novità e qualche sconquasso. Quando il giovanissimo don Giacomo Tolot propose al suo parroco di suonare in chiesa la cosiddetta Messa beat con tanto di chitarre elettriche, tastiere e batteria, l’anziano sacerdote fece un salto sulla sedia. In Italia la Messa beat di Marcello Giombini era stata eseguita solo a Roma. Di chitarre e amplificatori al posto dell’organo nell’Italia del Nord nessuno aveva osato neanche parlarne.
Ma il no del parroco di Torre, popoloso quartiere operaio, riguardava l’interno della chiesa non il sagrato. Sta il fatto che il 9 settembre 1967 sui gradini d’ingresso della chiesa dei santi Ilario e Taziano, un complesso rock suonò durante la Messa. Erano gli anni in cui i complessi musicali andavano forte anche nella Destra Tagliamento. Il dinamico cappellano ne aveva coinvolti due, di tutto rispetto, gli Alisei e le Sfingi oltre che al vivace gruppo giovani della parrocchia. Le cronache ricordano che la piazza si riempì all’inverosimile di giovani e non solo. Ancora oggi quell’evento viene ricordato come uno dei più partecipati di quel borgo e come un anticipo del Sessantotto e come segnale di nuove modalità di pregare e cantare in chiesa dopo secoli di gregoriano in latino e di "mira il tuo popolo".
Un segno dei tempi che cambiano, avrebbe detto il buon Papa Roncalli. Secondo qualcuno cambiano in meglio, secondo altri in peggio. In ogni caso cambiano, non sono più quelli di un volta.
Solo qualche mese prima, qualcosa di analogo era capitato a Roma: musica rock, battimani, scene isteriche; fuori calca di giovani con le forze d’ordine in stato di assedio a blindare l’ingresso. E’ il 27 aprile 1967, non si tratta di un concerto dei Rolling Stones ma della prima escuzione della Messa di Marcello Giombini la celebre "Messa beat". Stando ai giornali, a Roma ci furono scene apocalittiche. Le cronache riportano più il colore dell’evento, i pareri di chi preferiva la musica melodica di Claudio Villa a quella fracassona e in chiesa riteneva che i canti tradizionali aiutassero più la devozione di quelli nati in discoteca. Erano i tempi del Piper di Patty Pravo e della Bussola di Bandiera Gialla.
A onor del vero, bisogna precisare che in quella manifestazione non ci fu alcun intento trasgressivo. Avvenne nell’ambito dell’oratorio secolare dei Filippini in periferia di Roma. In quell’ambiente giovanile è logico che il buon Giombini si ispirasse non tanto alla Messa degli angeli in gregoriano ma alle "Laude filippine", canti ritmici in italiano con cui san Filippo Neri insegnò ai suoi monelli, che non capivano niente di latino o di gregoriano, a lodare il Signore cinquecento anni prima, subito dopo un altro Concilio, quello di Trento. Anche allora i liturgisti non permisero ai ragazzi di cantare in italiano durante i pontificali. Ma poco per volta in tutte le chiese i fedeli poterono cantare nella lingua che capivano e parlavano.
Lo stesso Giombini in seguito confessò che quella Messa fu solo un fenomeno discografico, convinto come era di capirne poco di liturgia anche se partecipava alle attività della parrocchia e pensava che i giovani suoi coetanei avrebbero preferito pregare e cantare come facevano normalmente, con il loro stile, i loro sogni e problemi. Il passaggio al rito sarebbe avvenuto solo due anni dopo,  quando, per il Natale del ’68, Giombini fu invitato dalla Pro Civitate Christiana di Assisi a comporre i canti per la Messa "Alleluia" a cui ne seguirono altre e i "150 salmi per il presente". Alcuni di questi brani resistono nel repertorio delle nostre parrocchie come Tra le mani, Vieni fratello, E’ la mia strada, Quando busserò, Le tue mani, Dio s’è fatto come noi e altri.

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