Pordenone: alla Somsi la conferenza "La pandemia insegna: irrobustire e innovare l’assistenza territoriale"
Il dibattito in programma venerdì 20 maggio organizzato da Storica Società Operaia di Pordenone e Associazione In buona salute con i medici Giorgio Siro Carniello, Luciano Pletti, Lorenza Ulian. Con un focus su Case della Comunità e Ospedali di Comunità previsti dal Pnrr
Una delle lezioni che abbiamo imparato dalla pandemia da Covid-19 è stata l’importanza di irrobustire e innovare l’assistenza sanitaria territoriale. Sarà una riflessione sul futuro l’appuntamento in programma venerdì 20 maggio alle 18 al Centro culturale di Palazzo Gregoris di Pordenone, organizzato da Storica Società Operaia e Associazione In buona Salute con il contributo della Regione Friuli Venezia Giulia e del Comune di Pordenone, a ingresso libero. Titolo dell’incontro sarà appunto “La lezione della pandemia: irrobustire e innovare l’assistenza territoriale” con l’intervento di Giorgio Siro Carniello, presidente di Credima (la mutua di Friulovest Banca) e già Direttore del Dipartimento di Assistenza Primaria Azienda Sanitaria Friuli Occidentale Pordenone, di Luciano Pletti vicepresidente di CARD Italia (Confederazioni Associazioni Regionali di Distretto) e presidente di CARD FVG, con la moderazione di Lorenza Ulian, già psicologa del Dipartimento delle Dipendenze e Salute Mentale Azienda Sanitaria Friuli Occidentale Pordenone.
La pandemia dovuta all’infezione del virus Sars-Cov-2 (Covid-19) ha rappresentato un formidabile stress test per il nostro Servizio Sanitario Nazionale, mettendone in risalto luci e ombre. Molti degli elementi di forza e di debolezza erano noti già prima della pandemia che ha finito per confermare quanto in larga misura si sapeva. Nonostante la transizione epidemiologica (aumento della cronicità, come condizione e malattia) e quella demografica (invecchiamento della popolazione) suggeriscano un radicale riorientamento dell’offerta sanitaria e dunque l’irrobustimento delle attività e dei servizi territoriali, in realtà il Sistema sanitario nazionale italiano rimane ancora fortemente “ospedalecentrico”.
Nel linguaggio corrente, in sanità, con il termine “territorio” si identifica tutto ciò che sta fuori dell’ospedale. Come se questo “tutto”, fosse riconducibile a funzioni e ad attività ben note e definite che non c’è bisogno di declinare. In questo modo, un termine che dovrebbe comprendere un insieme molto differenziato e specifico di funzioni, viene in realtà ricondotto a una sorta di generica categoria di fatto residuale, o meglio accessoria. C’è l’ospedale e poi tutto il resto, cioè il territorio. Dopo anni di contrazione della spesa sanitaria pubblica (la spesa sanitaria pubblica in Italia, in termini relativi sul PIL, rimane piuttosto bassa se paragonata a quella di altri Paesi europei) il cosidetto “territorio” appare più che mai debole, con scarso e spesso inesistente raccordo tra servizi ospedalieri e territoriali e debole presa in carico dei pazienti con patologie croniche.
La pandemia sembra abbia fatto esplodere una incontenibile “voglia” di territorio. Il Pnrr si pone nella direzione di un’assistenza territoriale innovata e irrobustita che nella componente 1 della missione 6 recita: “Gli interventi di questa componente intendono rafforzare le prestazioni erogate sul territorio grazie al potenziamento e alla creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare e una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari”. Una rivoluzione sembra coinvolgere l’intero territorio.
Sorgono dunque delle domande sulla gestione e su chi avrà la responsabilità di queste strutture.
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