Stupirsi dell'ovvio
Gli autobus, i treni, le auto, i piedi del virus siamo noi. Siamo i suoi mezzi di trasporto: più ci muoviamo noi, più si muove lui. L’attuale recrudescenza dei numeri forse servirà a porre fine all’onda dei complottismi e negazionismi, urlati ai quattro venti pure senza mascherina. Che ci piaccia o no l'incubatrice, la culla e la casa del covid siamo noi.
Gli autobus, i treni, le auto, i piedi del virus siamo noi. Siamo i suoi mezzi di trasporto: più ci muoviamo noi, più si muove lui. L’attuale recrudescenza dei numeri forse servirà a porre fine all’onda dei complottismi e negazionismi, urlati ai quattro venti pure senza mascherina. Che ci piaccia o no l’incubatrice, la culla e la casa del covid siamo noi.
Dato per certissimo questo, tutto il resto vien da sé. Quel resto fatto di tre semplici e non sempre applicate regole: mascherina, distanziamento, igiene delle mani. Per noi e per gli altri: solo così il virus smette di circolare, attraverso noi, da una persona all’altra. La notizia del vaccino in arrivo è la più bella e la più attesa: ma non sarà domani e non sarà per tutti subito.
Abbiamo conosciuto il coronavirus a fine febbraio: lui è rimasto lo stesso, noi siamo andati cambiando. Ci ha spaventati a primavera, tanto che siamo stati anticipatori di protocolli che hanno salvato tante vite e ci hanno additato quale esempio virtuoso agli occhi del mondo. L’estate ci ha risvegliati cicale: il virus circolava meno e noi molto di più, quasi immemori di quanto era stato e leggeri sulle tre solite regole. Quando, a fine estate, si sono riaccesi focolai in giro per l’Europa, noi – più propensi a godere l’ultimo sole che ad allarmarci -, abbiamo tirato a campare, attenti di giorno, molto meno la sera. E lo riabbiamo, tramite noi, riportato in giro.
Così, se in primavera con 6.550 casi eravamo tutti in casa adesso, nonostante il picco dei quasi 40mila, si viaggia. Siamo corsi ai ripari: l’ultimo dpcm ha delineato tre profili diversi di allerta, ma nella maggior parte del paese la stretta limita, non blocca. Lo hanno dimostrato i vari lungomare: da Napoli a Lignano.
Pare che i numeri non ci facciamo più paura: nemmeno quelli delle nostre vittime che hanno superato quota 41mila. Non fanno più breccia le immagini dalle intensive, dei pronto soccorso saturi, né i racconti di chi ci è passato e ripete che questo virus va preso sul serio.
Veneto e Friuli Venezia Giulia sono in zona gialla. L’abbiamo scampata bella? Non è questo lo spirito. Siamo tutti osservati speciali. Lo siamo perché abbiamo la fortuna di abitare un paese che si prende cura di chi si ammala e tutela la salute di chi ancora ammalto non è. I numeri che stabiliscono la fascia di rischio – che regola libertà o non libertà di movimento come delle attività produttive -, raccolgono il frutto dei nostri comportamenti, della nostra serietà di fronte a una pandemia che sta mettendo in ginocchio il sistema sanitario, stravolgendo economie, decimando anziani e riducendo in povertà persone e paesi già meno fortunati di noi.
A che pro sollevare polveroni mediatici invece che collaborare, facendo ciascuno la propria parte in questa che è una battaglia condivisa e globale?
Perché stupirci dell’ovvio di provvedimenti figli di dati forniti dalle regioni e uguali per tutti: numeri dei contagi, di posti letto e terapie intensive disponibili… I colori possono cambiare: Liguria, Toscana, Abruzzo, Umbria e Basilicata lo hanno già imparato, passando dal giallo all’arancio; anche per il Veneto si era parlato di correttivi. E l’ordine nazionale dei medici ha chiesto alla politica il lockdown su tutto il territorio.
Non si sta a dire che il sistema è perfetto. Ma questa, con i malati che in alcuni ospedali sono senza letto nei corridoi o in attesa di ore nei parcheggi e il personale sanitario allo stremo, è l’ora dell’impegno di tutti e non delle strumentalizzazioni. Il ministro della salute, Speranza, ha dichiarato: “Servono unità e responsabilità, non polemiche”. Il premier Conte ha ribadito: “Il virus è un treno in corsa. Dobbiamo fermarlo o ci travolgerà”. E ugualmente il Presidente della Repubblica, Mattarella, ha colto tutte le ultime occasioni pubbliche per ripetere una parola diventata un appello: unità.
Il resto tocca a noi: gli antichi romani si stringevano a testuggine per essere inattaccabili, noi disperdiamoci. Almeno per un altro, non quantificabile, po’.
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