Concordia: perché Sagittaria?
Una storia affascinante e non del tutto nota ai più: la storia delle frecce è nota ma... da quando? dove furono trovate? Perché era già Sagittaria ancor prima di ritrovare le frecce? e chi le trovò?
"Concordia Sagittaria". Questa è la denominazione riportata in "Notitia Dignitatum" (Notizia di tutte le Dignità ed Amministrazioni sia civili sia militari), un’opera del IV secolo d.C. e ripresa dal Consiglio comunale di Concordia quando dopo il 1866, con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, c’era la necessità di distinguersi dall’omonimo comune emiliano di Concordia sulla Secchia (provincia di Modena).
DA SAGITARIA
A SAGITTARIA
Era allora sindaco un amico dell’avvocato e archeologo Dario Bertolini: il "risorgimentale" Bonaventura Segatti, espresso dai pochi notabili con diritto di voto.
La scelta costituiva un erudito ricordo dell’antica fabbrica di frecce dell’Impero Romano, di cui c’era la memoria, ma nessun riscontro archeologico.
Si pensava che il richiamo alla produzione militare d’età imperiale desse lustro ad un centro ormai soltanto agricolo, con meno di tremila abitanti, molto decaduto a causa dell’impaludamento e funestato dalla malaria.
La denominazione fu ufficializzata da un regio decreto del 1868, ma con un sola "t" a causa di un errore.
Nell’uso corrente dei concordiesi, però, prevaleva il raddoppiamento in "Sagittaria", come corretta derivazione dalla parola latina "sagitta" (freccia).
Bisognerà attendere il 1965 per la sanzione ufficiale del raddoppiamento da parte di un decreto del Presidente della Repubblica, che adeguò il nome legale all’uso prevalente della gente.
L’ATTESTAZIONE
ARCHEOLOGICA
L’attestazione archeologica dell’antica produzione bellica riemerse copiosamente soltanto sei anni dopo l’attribuzione del nome con riferimento alle "sagittae", cioè quando Dario Bertolini scavò, nel fondo di Odoardo Perulli, la necropoli orientale (1873-76): dopo la scoperta casuale della prima tomba, furono rimossi spessi sedimenti alluvionali tardo-antichi riportando alla luce ben 270 sarcofagi in pietra, un terzo dei quali con epigrafi incise, di cui si iniziò la lettura.
Fu chiamato "il Sepolcreto dei militi" perché numerose iscrizioni appartenevano a soldati delle diverse guarnigioni di stanza nel III e IV secolo d.C. a Concordia.
La necropoli portata allo scoperto, però, era minacciata dalla risalita dell’acqua di falda. Con una scelta oggi inconcepibile, ma allora suggerita dal grande storico tedesco Thedor Mommsem e fatta propria dal Ministero della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia, le iscrizioni furono tagliate ed esposte nella navata destra del Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro. Il resto della necropoli venne ri-sepolto.
LA FABBRICA
Lo studio epigrafico permise di ricavare proprio da sette di queste iscrizioni notizie sugli addetti alla lavorazione delle frecce.
La fabbrica aveva un’organizzazione militare con gli stessi gradi dell’esercito. Il capo fabbrica era il "praepositus", coadiuvato dai "centenari" e dai "biarchi", questi ultimi con funzioni amministrative. C’erano i "veterani" ed anche gli operai semplici, chiamati al singolare "fabricensis".
Negli anni successivi al 1878 gli scavi nel centro urbano di Concordia, nei pressi dell’attuale Via Claudia (quartiere di nord est), misero in luce i resti di un fabbricato che Bertolini ritenne essere stato utilizzato dalla fabbrica di frecce.
LE PUNTE
DI FRECCIA
Per arrivare all’individuazione delle punte di freccia come reperti archeologici bisognerà attendere ancora un secolo, cioè gli anni ’80 del Novecento, con gli scavi dell’area del teatro (quartiere di nord ovest), condotti dalla professoressa Elena Di Filippo Balestrazzi, con i campi estivi degli studenti di archeologia dell’Università di Padova.
Allo studio delle varie decine di frecce, recuperate e restaurate in oltre un decennio, si dedicherà soprattutto un suo allievo, l’archeologo Alberto Vigoni, che sull’argomento ha all’attivo alcune pubblicazioni.
Il repertorio principale finora studiato comprende un insieme di 36 punte di freccia, suddivise in base alla tipologia della sezione: 5 appiattita, 6 triangolare a tre alette, 24 quadrangolare. Al diverso profilo della punta corrispondeva un diverso esito balistico del proiettile lanciato: la precisione del tiro per quelle a sezione piatta, la capacità di perforare per quelle quadrate.
Una parte di questi reperti sono esposti in vetrine: presso il "Circolo Antiqui" della Biblioteca comunale di Concordia e nell’aula di ingresso agli scavi dell’area paleocristiana della Cattedrale, nello spazio dedicato alla memoria della Via Annia.
Antonio Martin
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento