Domenica 7: festa dei nonni, radice e storia per i nipoti
Le differenze tra generazioni forse non si sono mai sentite tanto. É davvero così? Ne parliamo con Elisa Burigana, direttrice del Consultorio familiare Noncello di Pordenone.
I nonni passano ancora qualcosa ai nipoti?
Certo. Passano la storia, la radice. La linea del tempo. Sono la testimonianza della vita stessa e permettono una doppia proiezione: verso il passato e verso il futuro.
Le differenze tra generazioni forse non si sono mai sentite tanto. É davvero così? Ne parliamo con Elisa Burigana, direttrice del Consultorio familiare Noncello di Pordenone.
I nonni passano ancora qualcosa ai nipoti?
Certo. Passano la storia, la radice. La linea del tempo. Sono la testimonianza della vita stessa e permettono una doppia proiezione: verso il passato e verso il futuro.
Ovvero?
Il bambino vede il futuro che lo aspetta: si va verso la dimensione dei capelli bianchi. E vede il passato, si mette in contatto con un sapere e con un’esperienza che dai genitori non ha.
I nonni sono portatori di un bagaglio diverso di esperienze.
Hanno delle caratteristiche proprie. Hanno un approccio al tempo che è diverso. Intanto, molti di loro non lavorano più e questo consente ritmi adatti allo stare insieme con attenzione e dedizione. Vi si aggiunge un rallentamento metabolico, diciamo così, che permette di andare con calma e di condividere le cose da fare.
Dai nonni si imparano le cose: fare una torta, andare a pescare…
Aggiustare la bicicletta… Sì è importante: è la condivisione del fare insieme un’attività. Ma credo che nella crescita dei nipoti sia fondamentale soprattutto un aspetto che i nonni hanno: l’amore. Quell’amore lì che hanno solo i nonni, che è diverso dai genitori e che nessuna baby sitter, per quanto piena di attenzioni e preparata, può avere. Questo conta ancor più se i nipoti sono piccoli e piccolissimi: non hanno bisogno di tanto. Ma hanno tanto bisogno di una cosa: la nonna che è calda, liscia e morbida. Questo serve. Il valore della socializzazione comincia dopo e un po’ ce lo raccontiamo noi genitori per soffrire meno di fronte alla necessità di lasciarli questi bambini, quando il lavoro incombe.
Che cosa significa diventare nonno per un adulto?
Comporta di solito un cambiamento, che notano soprattutto i figli. I neogenitori dicono: non conosco più mio padre. Vale specie per i maschi che diventano nonni: non avevano mai coccolato, detto le paroline, ma quando nasce il nipotino nascono anche loro come nonni e sono pronti a sciogliersi. Magari fanno i giovani con la moto, ma se non vedono il piccolo per più di due giorni vanno a trovarlo.
Nessuna criticità nella gestione?
Emerge soprattutto perché c’è un grande sconvolgimento pedagogico: oggi i nonni sempre più vengono investiti da un ruolo diverso. I nonni erano quelli che ti viziavano, ti facevano la torta: erano il momento di festa per i nipoti e un affiancamento per i genitori. Era chiaro che non erano loro i genitori. Erano altro.
E oggi che succede?
Oggi fanno i nonni da cinque a sette giorni la settimana, dati i ritmi di lavoro. Questo vuol dire che non hanno più uno spazio proprio, ma un mandato a tempo pieno. Allora diventa loro anche il ruolo educativo, che però non è il ruolo dei nonni. Il nonno è quello che vizia, che fa trovare le cose proibite dai genitori: le patatine fritte, la torta. Non è quello che deve correggere, non è l’intransigente. È istintivo per i nonni essere affettuosi, perché quelli non sono i loro figli. Poi però si accendono le tensioni quando la sera vengono rimproverati dai loro figli per aver concesso questo o quello, per aver fatto insomma i nonni, ovvero esattamente il loro ruolo. Ma questo coccolare e accontentare è quelo che li rende speciali. Si instaura una complicità a danno dei genitori e questo non rovina i ruoli, anzi questo è tipico del ruolo. Il nonno che fa il crostino al formaggio prima di cena, che ti permette il fuori orario… Le regole dei genitori valgono con i genitori e vanno rispettate con loro. Con i nonni è diverso: c’è lo strappo alla regola.
Quando però i nonni diventano un tempo pieno, allora necessariamente si devono creare alleanze con i genitori del bambino e va steso un canovaccio di regole condivise.
E con le famiglie separate cosa succede?
Spesso la ferita aperta nei confronti del partner porta ad allontanare i nipoti da quei nonni, anche in modo vendicativo. I figli così perdono i contatti con una parte della loro origine, interrompono un’affettività e una storia di appartenenza. C’è un diritto dei bambini di goderne, diritto in senso affettivo non solo giuridico. C’è anche il rapporto interrotto dei nonni con i bambini ma si guarda prima al bisogno dei piccoli. Sono situazioni difficili da sostenere: basterebbe riuscire ad appellarsi ai bisogni e ai desideri dei bambini più che alle vicende degli adulti.
E quando i rapporti sono impediti?
Sono le dinamiche dei tempi moderni, accelerate dalle separazioni. L’incapacità degli adulti di andar oltre i propri sentimenti per dare qualcosa ai piccoli. Tanto poi i nipoti, tutti i nipoti, scelgono da se stessi il nonno preferito. E non è necessariamente quello che vorrebbero la mamma o il papà.
C’è anche la sofferenza di chi non è nonno?
Sì, anche se non è come quella di non essere genitore. Sono due cose diverse. Esistono comunque esperienze compensative: ci sono i figli dei nipoti o dei vicini. Non è una questione biologica, ma una scelta di approccio e di relazione. Ci sono persone che nonne non sono state mai, eppure hanno una capacità di risposta, di affettività che è spontanea in loro. Ci sono nonni non biologici che si mettono a disposizione di vicini con famiglie lontane, di stranieri presenti nel territorio ad esempio. Persone capaci di grandi gratuità.
L’età avanza: con i nonni malati che rapporto è giusto avere?
C’è una fascia di genitori che tengono lontani i bambini dalla esperienza della malattia. Invece è bello vedere il bambino che inizia a fare i primi passi aggrappandosi alla carrozzina del nonno. Certo, poi dipende anche dalla malattia: con quelle degenerative è più complicato. Ma un nonno malato ha molto da insegnare: innanzitutto a vivere con dignità anche questa fase della vita. E poi che non si è sempre giovani e sempre sani, ma si vive lo stesso con l’affetto dei propri cari. Anche se il nonno è in casa di riposo o nei casi di demenza: la difficoltà del nonno insegna la verità della vita. Il loro ripetere gli stessi discorsi può fare simpatia, malinconia, tenerezza. Quella visita diventa una palestra di emozioni, si imparano sentimenti delicati.
E nel caso della morte?
Intanto, un nipote allunga la voglia di vivere: i nonni dicono vorrei vederlo fare la Comunione, poi la Cresima, poi la laurea… I nipoti suggeriscono degli obiettivi e allungano la voglia di vivere. Quando la morte arriva, il bambino o il ragazzo vive la prima esperienza luttuosa importante. E ci deve essere, perché questa è la vita. È un dolore dal quale non si può proteggere il proprio figlio. Questo dolore c’è e ci sarà. Semmai si impara a viverlo, ad attraversarlo insieme: genitori e figli.
Simonetta Venturin
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