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Un’aberrazione: la morte dolce

Torna ad accendersi il dibattito sull'eutanasia anche nel nostro Paese

Parole chiave: Eutanasia (4), Legge (17), Italia (23)
Un’aberrazione: la morte dolce

Ormai è un fenomeno doloroso e assolutamente non insignificante.
Sul tavolo del legislatore si pone una questione sulla cosiddetta morte dolce.
Già in Svizzera, nei paesi nordici, in quelli sudamericani, si è legiferato su questo problema come se riguardasse una singola persona.
Adesso, anche in Italia, la corrente laica del nostro Paese, e non solo, vorrebbe introdurre questo spegnimento della vita, ma non si può non porre la questione che la vita dell’uomo non è soltanto una vita biologica, ma è una scelta che riguarda l’intelligenza dell’uomo, il sentimento.
Quell’intelligenza, quella capacità di pensare, quella capacità di fare storia e di donare la vita ad altre persone, quel quid che ci distingue dagli altri esseri viventi.
Se non è una questione puramente biologica - come in effetti non lo è-, va trattata dall’uomo, e quindi dal legislatore, non come morte dolce ma come accompagnamento dolce alla morte, con le cure palliative, e solo e soltanto in quei casi in cui si applica già adesso, ovvero quando la medicina non ha più una parola da dire e si sospendono le cure, per evitare accanimento terapeutico e sofferenze inutili.
Invece, con questa novità della morte dolce si vuole applicare l’eutanasia assistita, persino quando si ha un semplice mal di vivere dentro di sè.
In questo caso è il malato, o presunto tale, che chiede di poter decidere di farla finita con la sua vita.
Il rimedio non può essere la soppressione della persona, con l’aiuto dei familiari o degli amici, un fai da te circa la morte, con chi condivide quell’idea necrofila.
In Italia, non esiste questa legge per nostra fortuna.
Esiste soltanto l’accompagnamento alla morte, somministrato dal medico con la terapia del dolore o la sedazione, in presenza di un’impossibilità di cura sulla base delle conoscenze scientifiche attuali, in un contesto di grandissimo dolore e sofferenze atroci.
In quel caso, poiché sono le medicine a non curare più, non concedere un accompagnamento dolce alla morte e non fermare le terapie ormai inutili sarebbe un sottoporre l’uomo al potere dell’intervento medico, anzi all’accanimento terapeutico, anche se non vi è più alcuna speranza di guarigione.
Da dove viene questa nuova cultura di auto-spegnersi la vita? Da dove viene questa padronanza dell’uomo sulla vita?
Le sue radici stanno nel centro Europa, in Svizzera ad esempio, dove esistono case "di cura" per questa triste inaccettabile visione dell’esistenza.
Queste azioni di morte sono una conseguenza del pensiero post-moderno, che nega la possibilità di raggiungere valori certi e importanti nella vita.
Il post-moderno è la frantumazione di ogni valore perché, come spiega Umberto Eco nel suo famoso libro "Il nome della Rosa", il protagonista del romanzo alla fine brucia quel manoscritto di Aristotele, quella carta avvelenata che tanti avevano cercato di rubargli.
E’ appunto la carta dei valori, la Poetica di Aristotele, che dopo una lunga ricerca era stata trovata dal frate e che per questa ragione viene prima avvelenata e poi bruciata, per dimostrare che non esistono valori eterni.
Al contrario, invece, il comando: non uccidere! si trova grosso modo in tutte le culture ed è un imperativo che non ammette eccezioni.
Pertanto, spetta allo Stato difendere questo imperativo, casomai fosse costretto a legiferare su questo argomento.
Il comando non uccidere, la stima della vita dell’uomo, sono tali da negare la possibilità della cosiddetta morte dolce.
Se riferita poi al mal di vivere, questo è una sofferenza che si può affrontare in altra maniera, con un’educazione che insegni il valore infinito dell’esistenza e il rispetto assoluto della persona.
In ogni caso, la risposta al quesito: "l’uomo chi è, e qual è il suo destino?" è l’interrogativo fondamentale per il nostro tempo.
Interrogativo che richiama molti luoghi di impegno per l’uomo e a favore dell’uomo, con i problemi assillanti della fame e del sottosviluppo, della pace e della guerra.
Un fenomeno del nostro tempo, non è e non può essere la morte dolce; è invece una coscienza profonda della dignità dell’essere umano, del suo valore unico, dell’inviolabilità dei suoi diritti.

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