Lettera apostolica di papa Francesco su Dante
Dopo Benedetto XV (1921) e Paolo Vi (1975) anche papa Francesco ha dato alla luce un documento in occasione di un anniversario (il 700simo) legato al sommo poeta: cristiano e "nostro" ribadiscono i papi.
Anche il più distratto degli italiani è venuto a conoscenza dell’anniversario che riguarda il più grande dei nostri poeti: il settimo centenario della morte di Dante Alighieri. Può sembrare sorprendente che il papa si sia preso la briga di scrivere una impegnativa lettera apostolica sul sommo poeta. Come già da altri articoli in pagina si evince che non è il primo a farlo, altri papi hanno scritto su Dante. Probabilmente questa sua particolare attenzione deriva anche dal fatto che è stato insegnante di letteratura negli studentati di Santa Fe e Buenos Aires. La lettera già nel titolo indica la precomprensione che il papa ha della personalità dantesca: "Candor lucis aeternae" (Splendore della Luce eterna). Dante, uomo credente e profondo conoscitore della teologia cristiana, in tutto il suo poema - dice il papa - è profeta di speranza e testimone della sete di infinito insita nel cuore dell’uomo.
Questa speranza e questa sete di infinito trovano piena risposta nell’evento dell’incarnazione e il papa, ricordando san Bernardo nel XXXIII canto del Paradiso, riprende i celebri versi che ricordano il mistero fondativo dell’evento Cristo: "Nel ventre tuo si raccese l’amore, / per lo cui caldo ne l’etterna pace / così è germinato questo fiore".
Nel considerare questo anniversario dantesco il papa con tranquilla fermezza continua "Non può dunque mancare, in questa circostanza, la voce della Chiesa" perché Dante "ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia la profondità del mistero di Dio e dell’amore" (ivi).
Nel primo paragrafo della lettera troviamo brevemente descritti gli interventi su Dante dei pontefici romani dell’ultimo secolo: Benedetto XV e san Paolo VI. Di quest’ultimo riporta una rilettura/commento (originale ed evocativo) della Divina Commedia nella prospettiva della pace: "Poema della pace è la Divina Commedia: lugubre canto della pace per sempre perduta è l’Inferno, dolce canto della pace sperata è il Purgatorio, trionfale epinicio (componimento lirico - cfr. Devoto-Oli) di pace eternamente e pienamente posseduta". Pure san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI vengono ricordati perché ripetutamente hanno fatto riferimento a Dante in molti loro interventi.
Perché papa Francesco ha voluto scrivere questa lettera apostolica? Nel secondo paragrafo ce ne dà ragione: "Desidero accostarmi alla vita e all’opera dell’illustre Poeta… manifestandone sia l’attualità sia la perennità, e per cogliere quei moniti e quelle riflessioni che ancora oggi sono essenziali per tutta l’umanità, non solo per i credenti". Dopo una breve descrizione dei fatti salienti della biografia dantesca il papa offre a tutti una fine e profonda rilettura della vita travagliata del Poeta: "Dante, riflettendo profondamente sulla sua personale situazione di esilio, di incertezza radicale, di fragilità, di mobilità continua, la trasforma, sublimandola, in un paradigma della condizione umana". Come non pensare a quanto l’umanità intera sta vivendo nella difficile e dolorosa realtà pandemiale.
Il papa sottolinea altri tratti significativi del percorso e della poetica dantesca: profeta della speranza, cantore del desiderio umano, poeta della misericordia di Dio e della libertà umana, narratore dell’immagine dell’uomo nella visione di Dio. Tipico della visione bergogliana, che pure urgentemente ci interpella e chiede alla Chiesa un cambiamento di visione e di operatività, è la sottolineatura della presenza e della centralità di tre donne nella Divina Commedia: Maria, Beatrice e Lucia. Si rimanda ad una lettura distesa e attenta del paragrafo settimo della lettera papale.
Il papa conclude con un auspicio: "La figura di Dante […] può aiutarci ad avanzare con serenità e coraggio nel pellegrinaggio della vita e della fede che tutti siamo chiamati a compiere, finché il nostro cuore non avrà trovato la vera pace e la vera gioia, finché non arriveremo alla meta ultima di tutta l’umanità, «l’amore che move il sole e l’altre stelle» (Par. XXXIII, 145)".
diac. Giovanni Mauro Dalla Torre
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