Agli uomini liberi e forti
Il Partito popolare ha cent'anni ed è nel caos
Nel 1919 nasceva il Partito Popolare Italiano, poi divenuto Democrazia Cristiana.
Il Novecento è stato il secolo del progresso, dell’industrializzazione. Siamo passati attraverso due guerre mondiali, gli anni della ricostruzione, ci siamo dati una Costituzione e un sistema democratico rappresentativo. E il Partito Popolare ha giocato un ruolo di prim’ordine con figure come Antonio Segni, Alcide De Gasperi, Giulio Andreotti. Qualcuno come Aldo Moro, Pier Santi Mattarella, Vittorio Bachelet ci ha rimesso la vita. Anche a livello locale ricordiamo tanti e corretti democristiani che hanno fatto il bene delle nostre provincie e dei nostri comuni. Non tutti e non sempre. Qualcuno ha fondato il suo potere su clientelismo e raccomandazioni. Si sono formate correnti, contrapposizioni, feudi elettorali e ricordiamo i colpi bassi dei franchi tiratori.
A un secolo dalla nascita, il PD (che almeno in parte può definirsi prosecutore di quella storia) rischia di affondare per le polemiche interne. Ogni congresso è una Babele dove tutti dicono la loro, fanno progetti, facendosi le scarpe a vicenda.
No, amici, non ci siamo. Cent’anni fa don Luigi Sturzo non pensava di piantare un simile pollaio dove tanti galli continuano a beccarsi tra loro, quando da una stanza dell’albergo Santa Chiara di Roma inviava il noto messaggo "A tutti gli uomini liberi e forti".
In questi giorni arriva nelle librerie una illuminante pubblicazione di padre Francesco Occhetta, "Ricostruiamo la politica nel tempo dei populisimi" (Edizioni San Paolo).
"Cambia il contesto - puntualizza l’autore -, ma oggi, come allora, i cristiani devono sentirsi chiamati ad essere fondamento e presidio della Nazione.
La piattaforma del 1919 è ripronibile per i cattolici e per ricompattare un partito lacerato.
La lunga gestazione del Partito Popolare Italiano inizia con il discorso che don Sturzo tenne a Catalgirone nel 1905 alla vigilia di Natale in cui propose, per la prima volta, la costituzione di un partito di ispirazione cristiana per portare i cristiani all’interno della politica italiana.
Tuttavia quell’intuizione dovette passare 14 anni e una guerra mondiale. Non dimentichiamo che dal 1874, con il "Non expedit" la Chiesa vietava ai credenti di impegnarsi nella vita pubblica nazionale. Consentiva però di votare alle amministrative e di rimboccarsi le maniche a livello sociale. Benedetto XV cancellò il divieto.
Con quali caratteristiche nacque il Partito popolare italiano?
Don Sturzo lo volle riformatore, interclassista e aconfessionale, che desse voce gli operai e ai contadini, mettendoli al riparo dalle lusinghe socialiste, che si attivasse a favore dei poveri seguendo l’insegnamento del Magistero. Non fondò un "partito cattolico conservatore".
Un’esperienza distinta ma non distante dalla Chiesa. La politica non è clericale ma favorisce la partecipazione responsabile di tutti senza discriminazioni o esclusioni. I cattolici in una democrazia vera promuovono tanti valori di ispirazione ctistiana come la difesa della famiglia, la libertà di opinione e di insegnamento, il diritto al lavoro, l’autonomia delle amministrazioni locali, forme di previdenza sociale, la libertà della Chiesa e la costruzione di un ordine mondiale nuovo.
Ma com’era l’Italia alla quale si rivolse don Luigi Sturzo? Era appena uscita dalla Grande Guerra. Piangeva 635 mila soldati caduti e 85 mila civili uccisi. La vita media della popolazione, composta da circa 37 milioni, non superava i 31 anni per gli uomini e i 32 per le donne. In Basilicata e in Calabria l’analfabetismo sfiorava il 70%.
C’è un episodio emblematico del travaglio delle ore che precedettero il varo del Ppi. Don Sturzo e altri esponenti si ritagliarono alcune ore di adorazione notturna nella chiesa dei Santi Apostoli a Roma.
In quel momento il mondo cattolico attraversava varie sensibilità politica, come avviene oggi, in fin dei conti. Don Sturzo fece aderire il mondo cattolico a un programma progressista e costituì un’area politica in cui l’unità avesse la meglio sulle legittime differenze. Al nuovo partito aderirono i democratici cristiani, ispirato da Romolo Murri, quello dei clerical moderati, dai cattolici liberali ai Cattolici intransigenti che avevano attivato l’Opera dei Congressi, abolita nel 1903 da Pio X. L’adesione al Ppi è stata per le varie anime del mondo cattolico un’oasi di unità in un deserto di dispersione. Nelle elezioni politiche del 1919 il Ppi ottenne 30 deputati, il 20% del consenso. L’avvento del fascismo sfarinò gli entusiasmi iniziali. Il Ppi si divise nell’autunno del 1922. Il partito mise in minoranza don Sturzo e appoggiò il governo Mussolini. Don Sturzo rimase segretario ancora un anno e nel 23 si dimise anche per pressione della Santa Sede che temeva una campagna anticlericale in grande stile.
Il 25 ottobre 1934, dopo l’omicidio Matteotti, don Sturzo andò in esilio a Londra, Parigi e New York. Ritornò nel 1946 quando la DC si presentò come partito di notevole peso politico. Don Sturzo, convinto che la politica non potesse essere aperta a tutti, senza interferenze confessionali non si candidò ma curò una serie di pubblicazioni e creò, con padre Bartolomeo Sorge e p. Ennio Pintacuda delle scuole di formazione socio politica, convinto che chi si impegna nella pubblica amministrazione e in politica non deve essere sprovveduto, deve farlo in spirito di servizio, in dialogo con chi la pensa diversamente.
Gli arrivisti e gli sprovveduti combinano solo guai. E ne siamo alle prove.
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