Commento al Vangelo
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Domenica 9 maggio, commento di don Renato De Zan

Cristo: modello di amore per tutti i discepoli da ieri ad oggi

Domenica 9 maggio, commento di don Renato De Zan

Gv 15,9-17

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 9 Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. 12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

 

Il discepolo ama e ha un modello: il Cristo

 

Tematica liturgica

Il testo evangelico di Gv 15,9-17 ha come perno centrale la rivelazione della gioia come elemento essenziale della fede dei discepoli: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Questa rivelazione ha una sorgente e ha, pure, uno sbocco. La sorgente è l’amore di Gesù verso i suoi discepoli; amore che viene direttamente dal Padre. Tale rapporto di amore permane vitale se il discepolo rimane nell’amore di Gesù. In altre parole, se il discepolo accoglie le “parole” di Gesù (ciò che Egli è, dice e fa) e le traduce in vita vissuta (cf Gv 15,7), permane nell’amore di Cristo e del Padre. Il vocabolo scelto da Giovanni e da tutta la Chiesa nascente per indicare l’amore è “agapao” (amore donativo che non si aspetta il contraccambio) in quanto il termine è sciolto da qualunque valenza antropocentrica, come “erao” e i suoi composti (amore reciproco, di tipo sponsale), ed è libero da qualunque valenza di legame parentale o affettivo dovuto a vincoli di sangue o di affinità amicali come “fileo” e i suoi composti (amore amicale). Su questo amore c’è una misura: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Il verbo “agapao” è caricato di una valenza particolare. Nel Nuovo Testamento “agapao” vuole indicare l’amore donativo vissuto da Gesù, che diventa modello per l’amore del discepolo. L’amore di Gesù è il dono della vita (“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici”). Il discepolo, a sua volta, non può rifarsi a uno schema di discepolato già conosciuto nel mondo rabbinico. Nel mondo rabbinico il discepolo sceglieva il maestro, ne diventava in qualche modo servo, imparava le idee del maestro e, a tempo debito e con i modi richiesti, diventava a sua volta maestro. Nel cristianesimo tutti sono per sempre discepoli dell’unico Maestro, Gesù (Mt 23,8-10: “Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbì’, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate ‘padre’ nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare ‘guide’, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo”). Per questo motivo Gesù chiama i suoi discepoli “amici” e non “servi” e dice chiaramente che non è stato scelto dai discepoli, ma è stato lui a sceglierli.

 

Dimensione letteraria

Il testo di Gv 12,9-17 fa parte del lungo discorso di Gesù, pronunciato nell’ultima cena. La prima parte del discorso è dialogata (a: Gv 13,21-14,31), la seconda è costituita da un monologo (b: Gv 15,1-16,16), la terza torna ad essere dialogata (a’: Gv 16,17-16,33) e la quarta parte è ancora un monologo (b’: Gv 17,1-26). Il testo è scandito secondo il ritmo parallelistico: a.b.a’.b’. Il vangelo odierno è tratto dal monologo della seconda parte, dove Gesù affronta i temi del “rimanere in lui”, “amare come lui” (il nostro testo), “essere odiati dal mondo” e “il Paràclito”.

Il testo di Gv 12,9-17 è suddiviso in tre momenti, secondo il ritmo concentrico: a.b.a’. Nel primo (Gv 15,9-10), il testo è scandito dalla congiunzione “come” ripetuta due volte. Nel terzo (Gv 15,12-17) il testo è incluso dal concetto di comandare (v. 12: “Questo è il mio comandamento” + vi amiate + gli uni gli altri / v. 17 “Questo vi comando”+ amatevi + gli uni gli altri). Al centro si trova il detto di Gesù sulla gioia (Gv 15,11).

 

Esegesi biblico-liturgica

a. Il Padre ama il Figlio perché questi lo rivela agli uomini (Gv 5,20; cfr Gv 1,18), donando la propria vita per la loro salvezza (Gv 10,17) e obbedendo così al comandamento del Padre (Gv 14,31). L’amore di Dio è operoso e si riversa sugli uomini. Dio, infatti, ha amato per primo e gratuitamente (cfr 1Gv 4,19) offrendo agli uomini il proprio Figlio in sacrificio di salvezza (cfr Gv 3,16) mentre essi erano ancora peccatori, nemici di Dio (cfr Rm 5,6-8). L’amore divino per gli uomini è la persona stessa di Gesù. L’amore che Cristo ha verso gli uomini non è altro che il dono totale di sé e dello Spirito (cfr Rm 5,5). Di conseguenza, per il discepolo, “rimanere nell’amore” equivale a lasciarsi abitare dallo Spirito e da tutta la realtà di Cristo.

b. L’autore della prima lettera di Giovanni sintetizza così l’elemento fondante della morale cristiana: “Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato” (1 Gv 3,23).

 

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