Domenica 14 giugno (giovedì 11) Corpus Do,mini, commento di don Renato De Zan
L'’esperienza della manna durante l’Esodo introduce il tema dell’Eucaristia come accompagnamento nella vita, perché "chi mangia la mia carne e bene il mio sangue ha la vita eterna".
14.06.2020 Domenica del Corpus Domini
Gv 6,51-58
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna
Nel cammino dell’esodo, gli ebrei impararono a esperimentare la presenza di Dio attraverso i suoi “segni”: le piaghe d’Egitto, la liberazione della schiavitù, la colonna di fuoco notturna, la nuvola di giorno, la manna, l’acqua, le quaglie, il serpente di bronzo. Nella fatica e nella prova, Israele è stato accompagnato e illuminato (comandi, suggerimenti, raccomandazioni, indicazioni) e, soprattutto, sostenuto dalla Parola di Dio (promesse), di cui la liberazione, la manna, l’acqua, le quaglie e il serpente di bronzo sono state forme di concretizzazione (adempimenti). Nel deserto, dove il pericolo di morire di fame è sempre imminente, gli ebrei fecero l’esperienza della manna. La manna significò la gioia e la certezza di poter vivere per gustare il dono divino della libertà. Gesù, nella sinagoga di Cafarnao, si rifà a questa esperienza che i suoi ascoltatori conoscevano benissimo: “Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,48-51). Si tratta delle parole immediatamente precedenti al brano proclamato oggi come vangelo (Gv 6,51-58). Il parallelo è netto. La manna ha fatto sopravvivere gli ebrei nel deserto, ma la generazione uscita dall’Egitto è morta prima di giungere nella Terra promessa. La manna non fece vivere in eterno. Ciò che fa vivere in eterno è Gesù, vero pane disceso dal cielo. Mangiare la sua carne equivale ad avere la vita eterna. Con un’estrema finezza l’evangelista adopera la stessa espressione per indicare sia il “mangiare la manna” sia il “mangiare la carne” di Gesù. La prima azione di cibarsi non dà la vita, la seconda, sì. In questa affermazione di Gesù c’è la ragione fondamentale dell’Eucaristia. Per il cristiano l’Eucaristia non è primariamente una realtà da adorare, sebbene la devozione eucaristica dell’adorazione sia comparsa alle soglie del secondo millennio e sia una cosa ottima. L’Eucaristia è una realtà da consumare: “Pendete e mangiate…”. Le parole di Gesù sono inequivocabili. Come sono inequivocabili le parole di commento: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Mangiare l’Eucaristia significa “avere già adesso” la vita eterna (si osservi con attenzione il tempo del verbo: “ha la vita eterna”) ed avere la garanzia della risurrezione (“lo risusciterò nell’ultimo giorno”).
Qualcuno, purtroppo, ancora oggi attribuisce a Gesù un linguaggio simbolico. Dispiace: queste persone sbagliano. Gesù, infatti, a scanso di fraintendimenti dice: “La mia carne è vero (in greco: “alethés” = autentico, verace, unico, ecc.) cibo e il mio sangue vera (“alethés”) bevanda”. E quando, alla fine del dialogo di Cafarnao, alcuni discepoli decidono di non seguirlo più, perché il linguaggio di Gesù è “duro”, il Maestro non li trattiene, non addolcisce per niente le sue affermazioni. Non dice: “Non spaventatevi. È un linguaggio figurato”. Tutt’altro: ai Dodici, sbigottiti, dice che, se vogliono, possono andarsene anche loro.
Dimensione letteraria
Fatto salvo l’incipit liturgico “In quel tempo, Gesù disse alla folla”, il testo biblico e quello biblico-liturgico del vangelo sono uguali. Si tratta della parte tematicamente centrale del dialogo teologico che Gesù ha avuto con i giudei nella sinagoga di Cafarnao. Il testo è costruito secondo il criteri della struttura concentrica. Agli estremi c’è la verità del pane che dona la vita eterna (v. 51 / v. 58). Segue al secondo e al penultimo posto la sottolineatura del “mangiare” (vv. 52-53: mangiare la carne / v. 57: mangiare me). Come terzo e terzultimo momento si trova il tema “carne-sangue” (v. 53 / vv. 55-57). Al centro della struttura si legge l’affermazione fondamentale (vv. 54: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno”).
Riflessione biblico-liturgica
Tutta la celebrazione della Parola evidenzia il valore dinamico-teologico dell’Eucaristia (mangiare-bere, dare la vita eterna, risurrezione). La colletta generale, invece, sottolinea sia l’aspetto dinamico-teologico (“memoriale della tua Pasqua”) sia l’aspetto devozionale dell’adorazione (“fa’ che adoriamo con viva fede…”). La Colletta propria, rifacendosi all’esperienza della manna durante l’Esodo, introduce il tema dell’Eucaristia come accompagnamento nella vita.
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