Domenica 13 giugno, commento di don Renato De Zan
La parabola del seminatore ricorda che Dio si serve sempre di ciò che è piccolo per iniziare la sua opera di salvezza
13.06.2021 - 11° T.O. - B
Mc 4,26-34
In quel tempo, Gesù diceva alla folla 26 Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28 Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29 e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». 30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». 33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
“Il seme germoglia e cresce”
Tematica liturgica
1. Ai farisei che lo interrogavano sul regno, Gesù rispose: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!» (Lc 17,20-21). Il Regno di Dio è già presente nella persona di Gesù.
2. Il Regno di Dio è la “Signoria di Dio”. In Gesù tale Signoria è stata totale. Il discepolo che imita il Maestro inizia un cammino che verrà completato con la risurrezione. Per questo motivo il Regno c’è già, ma ogni credente prega “Venga il tuo Regno”. Il suo completamento si avrà nell’escatologia.
3. Lungo la storia il Regno patisce violenza (Mt 11,12) perché il Male pone ostacoli alla Parola e al suo diffondersi. Accogliere la Parola equivale ad accogliere il Regno. Maturare come persone e come credenti significa lasciare che la Parola lavori dentro a ciascun credente. Quanto appena detto giustifica un dato: il Regno incomincia la sua marcia nella storia in modo discreto, sottovoce e in punta di piedi. È paragonabile a un seme che germoglia e cresce. È piccolo, ma diventa progressivamente grande. Come? L’uomo “stesso non lo sa”.
Dimensione letteraria
1. Il discorso parabolico di Marco (Mc 4,1-34) in parte è indirizzato alla folla (Mc 4,1-9) e in parte è indirizzato ai Dodici (Mc 4,10.13.21.26.30), anche se la folla non è assente. Il testo di Mc 4,26-34 costituisce la parte finale del discorso parabolico ed è dedicato ai Dodici (senza esclusione degli altri).
Il brano evangelico è stato arricchito da un incipit liturgico: “In quel tempo, Gesù diceva alla folla”. Viene esplicitato il mittente (Gesù) e modificato il destinatario. Non sono più i Dodici, ma è la folla.
2. Il testo è cadenzato in tre momenti. Prima c’è il paragone del seme che cresce da solo (Mc 4,26-29), seguito da un secondo paragone che illustra la maturazione del seme di senape (Mc 4,30-32). Chiude il brano una considerazione sul metodo adoprato da Gesù nella sua predicazione (Mc 4,33-34). Egli adopera il metodo narrativo: un racconto al posto di un ragionamento. Il contenuto viene veicolato in modo più immediato ed è più facile memorizzarlo.
Riflessione biblico-liturgica
1. Tra il piccolo seme di grano e la spiga, tra il piccolo seme di senape e il grosso arbusto (vangelo Mc 4,26-34) c’è un contrasto come c’è un contrasto tra il ramoscello e il magnifico cedro (prima lettura, Ez 17,22-23). La piccolezza degli inizi contrasta con la grandezza della maturità. La crescita resta sempre un mistero in mano al Signore.
2. Nel paragone la parabola del seme che cresce da solo è corretto intravedere tutta la missione di Gesù. L'incontro di questo seme con la terra avvia il dinamismo di fecondità. La maturazione viene seguita dalla mietitura, chiaro richiamo alla fine del mondo e al giudizio escatologico. Il paragone propende per una visione positiva e ottimistica della fine: il “chicco” è “pieno nella spiga”. Ciò indica la gioiosa la benedizione divina ottenuta.
3. Dio si serve sempre di ciò che è piccolo per iniziare la sua opera di salvezza: prima sceglie un pastore (Abramo), poi un piccolo popolo (Israele), poi una giovane donna (Maria). Gesù continua lo stile di Dio: sceglie dodici persone “qualunque” e fonda la Chiesa. Poi sceglie la Parola per salvare il mondo. Si tratta, però, di una logica operativa vincente. Dimenticarlo significa non capire il cristianesimo e nemmeno il Regno.
4. Gesù adopera il “modo figurato” per parlare alle folle. La “spiegazione” è per i suoi discepoli. In questo caso Gesù “libera”, “scioglie”, “interpreta” e “spiega” (questi sono i significati del verbo epilyo) il Regno ai suoi. Il significato più profondo e semplice di questo dato (“spiegare in privato”), dice che la spiegazione data da Gesù ai suoi era, probabilmente, la sua intimità con loro.
5. Il testo di Ez 17,22-24, alluso nel vangelo, narra la situazione triste di Israele in esilio e, nello stesso tempo, annuncia la sovrana potenza di Dio, capace di “restaurare” e “rinnovare” Israele. L’oracolo, inizialmente compreso come profezia di consolazione, venne successivamente letto come profezia messianica. Il vangelo invita a comprenderlo come profezia adempiuta nel mistero del Regno annunciato da Gesù.
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