Pordenonelegge: musica e preghiera
L'appuntamento oggi alle 11 nella Casa della Musica con il poeta Ivan Crico, e i musicisti Lorenzo Gielli al violino e Luigi Borgo al pianoforte
Venerdì 15 settembre ore 11 alla Casa della Musica in piazza della Motta, in collaborazione con la Scuola di Musica Città di Pordenone si terrà un incontro particolare dal titolo "Musica e preghiera", con Ivan Crico, poeta e pittore goriziano,Lorenzo Gielli, violino e Luigi Borgo, pianoforte. Sale alla mente la celebre frase
di Sant’Agostino "Chi canta prega due volte". Abbiamo chiesto a Ivan Crico, che ringraziamo, di scriverci un testo ispirandosi all’incontro in programma.
"Siamo sulla soglia, oscurata dalle ombre insanguinate degli ultimi anni del decennio appena concluso, degli anni Ottanta. Secondo anno alle scuole Medie di Pieris, un paesino nei pressi delle foci del fiume Isonzo. Un giorno si presenta in classe una giovane bellissima ragazza, supplente di educazione artistica. Goriziana,
colta, piena di interessi:la troppo presto scomparsa Alba Gurtner.Vede i miei disegni (ero molto preso dai surrealisti) e mi fa: "Lo sai che è uscito da poco un disco che credo ti potrebbe piacere molto... tu che sei così fantasioso... Si chiama "La Voce del Padrone", di Franco Battiato. A casa nostra nessuno aveva studiato musica e si ascoltava, allora, come quasi tutte le famiglie operaie della zona, quello che passava il convento. Incuriosito, corro a comprarlo. Confrontato con quello che si vedeva alla tv o alla radio, sembrava di essere catapultati di colpo in un’altra galassia.Testi pieni di citazioni coltissime e ironia sottile e graffiante,musiche orecchiabili ma che rimandano a mondi, culture lontane o sconosciute. Consumo la puntina del giradischi a forza di ascoltarlo. Dal momento che il mio professore di italiano ci aveva invitati a cercare sempre il significato di tutte le parole che non conoscevamo, imbattendomi nei tanti nomi sconosciuti che trovavo nei suoi testi, comincio ad andare in biblioteca e mi leggo qualcosa di Gurdjieff e un bel tomo sul sufismo, studio René Guenon, comincio a interessarmi delle minoranze cristiane copte in Etiopia... Insomma, nei confronti di quest’uomo riconosco di avere un debito enorme. Negli anni successivi continuai a nutrire un fortissimo interesse nei confronti delle parole e dei gesti dei grandi mistici. Leggendo i testi zen o San Francesco, Rumi o Eckart - in cui si parlava dello spogliarsi di se stessi, farsi vuoto, annullando i propri limiti per accogliere l’essere infinito - iniziai presto a pensare all’arte e alla poesia non come uno strumento per esprimere le mie emozioni, ciò che pensavo, come capita a tutti gli adolescenti quando scrivono i loro primi versi.Una ricerca interiore accompagnata dalla scoperta, esaltante, dei grandi maestri medievali come il compositore Magister Perotinus o dalle musiche della mistica Hildegard von Bingen, che a lungo ho ascoltato dipingendo nel mio studio. Per non parlare di Monteverdi, Bach.
Non posso inoltre non citare qui quello che, per me, rimane il più grande esempio contemporaneo di artista che ha concepito la sua arte come forma di preghiera: Nusrat Fateh Ali Khan, il "re dei re del qawwali", la musica sacra dei sufi Cishtiyya del sub continente indiano. Star internazionale, nei suoi primi concerti in Europa
stupì i suoi ascoltatori perché le sue performance, a volte, potevano continuare per ore sforando i tempi previsti della durata dei suoi concerti. La vera arte, come accade pregando, fluisce nel mondo senza la pretesa di riconoscimenti esterni, per pura necessità interiore, canto che si aggiunge alla musica segreta delle cose,
come quello dei grilli, anonimo ma di assoluta bellezza, in questa notte agostana. "La matrice in cui si semina la parola è il Silenzio": pensiamo alla lezione,sempre attuale, di Emily Dickinson. Pensiamo alle parole di Suor Chiaraluce Noviello: "La clausura, infatti, è un mezzo che consente di custodire il silenzio, che non è semplice assenza di parole: se abitato dallo Spirito e illuminato dalla Parola di Dio, esso favorisce un’apertura all’ascolto e quindi alla relazione col "Tu" di Dio". Anni fa, un muratore albanese mi raccontò che durante gli anni della dittatura, quando dovevano celebrare le loro feste e pregare, suo nonno si premurava di tappare ogni minima fessura per non essere visti da fuori. Una preghiera minacciata, assediata, clandestina. Da questo punto in poi ogni spiga che spunta, inattesa, diventa una messe che si espande in ogni direzione, oltre ogni orizzonte, di cui è impossibile abbracciarne l’estensione. Nel momento in cui ci si libera dal giogo dell’attesa di qualcosa che ti aspetti, di un risultato vagheggiato, di ciò che si intende per successo, ci si pone su un piano d’ascolto diverso, quello dello stupore, sinonimo forse della forma più pura della gioia. Stupore dello sguardo che vede tutto come se fosse la prima volta, in muta tremante partecipe ammirazione, dove la parola sfuggita al labbro non può che essere di lode.
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