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Pordenonelegge, domenica 22: il libro con gli editoriali di don Bruno Cescon già direttore de Il Popolo

Domenica 22 settembre, alle ore 15,30 nel duomo di s. Marco a Pordenone viene presentato il libro postumo di don Bruno Cescon "Fondi e Affondi. 20 anni di editoriali di un sacerdote giornalista e filosofo. Prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi". Avranno l’onore e l’onere di proporre una serie di riflessione sul libro i giornalisti Stefano Filippi, presidente del premio nazionale UCSI di Verona, e Mauro Ungaro, presidente della Federazione Italiana Stampa Cattolica, in dialogo con d. Renato De Zan.

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Pordenonelegge, domenica 22: il libro con gli editoriali di don Bruno Cescon già direttore de Il Popolo

Domenica 22 settembre, alle ore 15,30 nel duomo di s. Marco a Pordenone verrà presentato il libro postumo di don Bruno Cescon "Fondi e Affondi. 20 anni di editoriali di un sacerdote giornalista e filosofo. Prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi", a cura di Carla Panizzi, Simonetta Venturin, Giorgio Beltrame e Gilberto Milan.
Avranno l’onore e l’onere di proporre una serie di riflessione sul libro i giornalisti Stefano Filippi, presidente del premio nazionale UCSI di Verona, e Mauro Ungaro, presidente della Federazione Italiana Stampa Cattolica, in dialogo con d. Renato De Zan.

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1. Gli scritti di don Bruno presenti nel volume coprono un arco di storia che va dal 1996 al 2016. Gli argomenti - com’è tipico dei fondi di un giornale - sono i più vari. Solo qualche esempio: la nascita dell’Euro, l’attentato delle Torri gemelle, il brutto fenomeno dell’Isis, la crisi finanziaria fatta scoppiare dal fallimento della banca Lehman-Brothers, i pacs, i dico, la presenza di tre papi in un breve arco di anni, gli scandali politici, la famiglia, i giovani, la scuola, l’identità europea e le radici cristiane, l’integrazione, il razzismo, l’ambiente. Si tratta di temi che, in genere, ci toccano ancora. Pochi si posso dire superati.

2. Con don Bruno Cescon, oltre che a condividere gli anni di formazione in Seminario, abbiamo condiviso gli studi universitari di Padova e di Roma: lui in ambito teologico-filosofico, io in ambito teologico-biblico.
La storia poi ha fatto sì che condividessimo anche l’insegnamento universitario sia a Padova sia a Roma. Molto spesso andavamo insieme a passare alcuni giorni (pochi, a dire il vero) in montagna: lui sciava, io passeggiavo (perché cadevo ancora prima di indossare gli sci). Per questo posso dire come è nata e si è sviluppata la sua sensibilità giornalistica.

3. Don Bruno era un lettore accanito, oltre che di libri anche di giornali. Era impressionante la sua velocità di lettura (aveva imparato la cosiddetta "lettura verticale").
Dopo essersi ben informato, rifletteva.
Dava l’impressione che stesse costruendo nel suo mondo interiore qualche cosa di delicato, con precisione ed equilibrio, senza lasciarsi sfuggire l’uso del linguaggio, asciutto, lineare, semplice, alle volte sincopato.
Spessissimo, poi, chiamava il giornale, che gli offriva il dittafono. Dettava gli articoli che puntualmente, il giorno successivo, venivano pubblicati. Quando eravamo in viaggio, li dettava addirittura in macchina, mentre io guidavo. Per i fondi, invece, aveva ritmi più pacati. Li scriveva, li rileggeva. Poi limava frasi e parole. Tutto doveva essere ponderato. Il lettore doveva andare sul sicuro.

4. Se si esamina l’aspetto letterario, la scrittura di don Bruno è scorrevole. Fluisce lieve e si articola facilmente in più argomentazioni.
Se la prosa ha la forma leggera, il contenuto è impegnato, alle volte duro e pungente.
Ci sono espressioni che hanno il riverbero del vangelo e il sapore della profezia.
Solo due esempi, uno sul benessere e l’altro sul principio del capitalismo amorale.
"Il benessere - va ripetuto a costo di essere considerati dei moraleggianti - non migliora il cuore dell’uomo. Spesso lo convince di essere al di sopra del bene e del male. Lo inorgoglisce. Trasforma l’esistenza in malessere".
"Se mi faccio ricco io, diventano ricchi anche gli altri. Evidentemente non è sempre vero, se a regolare l’egoismo umano non intervengono la legge, l’onestà, il principio di solidarietà. Sono essi che devono innervare l’etica di ciascuno e dell’impresa. Diversamente i poveri diventeranno sempre più poveri".
Don Renato De Za

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