L'Editoriale
Quanto vale una vita?
Balbettando, viene da dire che in quella coscienza l’odio ha oscurato tutto il resto e l’ha resa sorda e cieca. Non ha udito nel pianto dei bambini un piccolo essere umano. Non ha visto in quei bambini i fratelli dei coetanei della sua famiglia, dei suoi parenti, ma semplicemente un appartenente ad una realtà indegna di esistere. (foto Ansa / Sir)
Cosa deve essere accaduto nella coscienza di un essere umano che pugnala un neonato, che decapita un bambino di pochi mesi, che violenta una bambina di pochi anni? Perché non ha provato resistenza per ciò che stava per fare, davanti agli occhi piccini e innocenti che lo guardavano? Come è possibile che un uomo arrivi a tale abisso di disumanità totale? Si prova uno sgomento abissale: questo male potrebbe distruggere l’umanità.
Balbettando, viene da dire che in quella coscienza l’odio ha oscurato tutto il resto e l’ha resa sorda e cieca. Non ha udito nel pianto dei bambini un piccolo essere umano. Non ha visto in quei bambini i fratelli dei coetanei della sua famiglia, dei suoi parenti, ma semplicemente un appartenente ad una realtà indegna di esistere.
L’odio, dunque, e una ideologia, un modo di pensare, che contraddiceva la voce naturale della coscienza: davanti a un neonato, a un piccino di pochi mesi si prova una naturale tenerezza, un impulso di protezione. Ci vuole una ideologia talmente estremizzata, poggiata su assunti così perentori, per non vederli come cuccioli umani, ma come esseri infestanti da distruggere.
Una ideologia, dicevamo. Una distruzione della coscienza così devastante ha avuto bisogno di una lunga diseducazione, di un lungo allenamento a pensare alla crudeltà come azione da mettere in pratica, di un insistente bombardamento di discorsi che la rendevano plausibile, persino programmabile. Discorsi che per essere accettati hanno avuto bisogno di “ragioni” (!?) che permettessero a loro di sopraffare ogni resistenza morale.
Il rancore per torti subiti, l’esperienza dell’ingiustizia, la memoria di sofferenze e umiliazioni hanno costituito un terreno fertile per quelle “ragioni”. E quando sentimenti come questi si diffondono in un popolo, allora non solo l’odio ma anche l’estremismo, ahimè anche religioso, ha facilità a trovare aderenti e simpatizzanti. Se poi calcoli oscuri di potere e interessi inconfessabili hanno bisogno di trovare operatori disposti a impegnarsi a servizio di essi, in quella palude malsana non sarà difficile reclutarli. La conseguenza è che l’odiato nemico non è più percepito come essere umano, qualunque sia la sua età, qualunque sia il suo comportamento e le sue convinzioni, ma come bruttura da eliminare.
In altro modo, in altra misura, è un discorso che dobbiamo fare anche a noi stessi. Riusciamo a vedere ogni essere umano come tale e dunque come nostro fratello e trattarlo di conseguenza?
Papa Francesco, in Fratelli tutti ammette: “A volte mi rattrista il fatto che la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza. Oggi, con lo sviluppo della spiritualità e della teologia, non abbiamo scuse. Tuttavia, ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi. La fede, con l’umanesimo che ispira, deve mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente quando cominciano a insinuarsi”.
Vengono alla mente due foto strazianti: quella di un piccino di emigranti annegato in mare e spinto dalle onde fin su una spiaggia, e di un papà sfuggito a un naufragio che porta in braccio il figlioletto che non è riuscito a strappare dalla morte. Quale è stata la nostra reazione, non quella emotiva e immeditata, ma quella pratica, di coscienza, di impegno? Esseri umani di minore dignità della nostra, da trattare come scarti umani, come insistentemente si esprime papa Francesco?
Don Chino Biscontin