Meno Tricolore nella nuova Europa
Nell’Europa che i sovranisti non hanno conquistato e che prenderà forma nel corso dell’estate noi italiani - oltre che in bilico sul fronte interno - vi ricopriremo un ruolo ben diverso rispetto agli ultimi anni, nei quali avevamo portato un bel po’ di tricolore nell’azzurro stellato del vessillo europeo, ricoprendo tre delle cinque cariche top.
Ci vorrà del tempo perché l’Europa rinata dalle urne del 26 maggio acquisisca la fisionomia dei nuovi eletti: il tempo tecnico della prima riunione del neonato parlamento (il 2 luglio), della elezione del suo nuovo presidente, della costituzione delle Commissioni (tra il 2 e il 4 luglio), del nuovo presidente della Commissione (tra il 15 e il 18 luglio).
Nell’Europa che i sovranisti non hanno conquistato e che prenderà forma nel corso dell’estate ci saranno dunque volti nuovi, alcune assenze e diversi equilibri che delle elezioni sono figli.
Una presenza con data di scadenza è quella degli inglesi che la Brexit, dagli stessi votata, rende possibile fino al 31 ottobre. Theresa May ha annunciato la resa per il 7 giugno, toccherà a chi verrà dopo portare a compimento l’iter dell’uscita, che farà scendere i parlamentari europei da 751 a 705.
Noi italiani, oltre che in bilico sul fronte interno, vi ricopriremo un ruolo diverso rispetto agli ultimi anni, nei quali avevamo portato un bel po’ di tricolore nell’azzurro stellato del vessillo europeo. Le ragioni sono molteplici.
Prima: cambieremo posto nell’emiciclo parlamentare, passando dagli scanni della maggioranza a quelli della minoranza.
Seconda: sarà ben difficile mantenere il peso avuto nella legislatura che va a spegnersi, nella quale erano nostro vanto ben tre italiani tra le cinque cariche top dell’Ue: il presidente del Parlamento europeo (Antonio Tajani dal 2017), il presidente del Consiglio europeo, il presidente della Commissione, la guida della Bce (Mario Draghi dal 2011) e l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune (Fedrica Mogherini dal 2014). Cariche a fine corsa alle quali, dai banchi della minoranza, sarà più difficile ambire. Lo sa bene l’ungherese Orbàn che ha scelto, a sorpresa, di stare con i popolari europei e non con i sovranisti come l’Italia della Lega.
Terza: l’Italia resta osservata speciale a motivo della situazione economica. La lettera arrivata all’indomani del voto ne è la prova: l’Europa di ieri (dove pur eravamo maggioranza) ha messo nero su bianco l’annunciata preoccupazione circa la tenuta dei nostri conti: "L’Italia non ha fatto sufficienti progressi". Destano allarme il debito italiano (salito dal 131,4% del 2017 al 132,2 del 2018 e previsto al 135,2 per il 2020); il peggioramento del deficit dello 0,1% del Pil nel 2018 e 0,2% nel 2019; le scelte di un governo che, a fronte di una mancata crescita, e con uno spread dalle salite facili, ha mantenuto un oneroso programma di spesa (reddito di cittadinanza, quota cento, non aumento dell’Iva, promessa flax tax).
Quarta, tutta interna al Paese: il continuo tiro alla fune tra le due forze al governo fa aleggiare su tutto il fantasma di una crisi che blocca e non slancia lo Stivale.
Non va dimenticato che, se anche l’Europa di Moscovici si è dichiarata aperta al dialogo, resta ferma sulle regole e il loro rispetto: dall’Italia attende una manovra correttiva o, almeno, rassicurazioni tanto convincenti da fermare l’apertura di una procedura di inflazione che graverebbe moltissimo su Italia e italiani.
Sono dunque giorni carichi di attesa: per la nuova Unione europea, per la decisione che la stessa prenderà, per la tenuta del governo. C’è troppo da fare per pensare alle vacanze e al mare. E noi, al momento, siamo non sulla cresta ma nella gola dell’onda.
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