L'Editoriale
La salute è a pagamento
Lo studio del Crea Sanità ha precisato che nel 2021 il finanziamento pubblico ha coperto il 75,6% della spesa sanitaria complessiva e questo ci colloca al di sotto dello standard europeo che invece raggiunge l’82,9% della copertura. Ne è conseguita la crescita della spesa privata che ha raggiunto i 41 miliardi di euro, pari a una spesa media annua per famiglia di 1.700 euro
La salute è
a pagamento
Simonetta Venturin
Che la sanità sia in affanno ce ne siamo accorti un po’ tutti: tempi lunghi, agende chiuse, date non disponibili, appuntamenti con priorità di 30-60 giorni che non riesce ad essere rispettata. A questo stallo del pubblico, di fronte alla malattia, non c’è che una soluzione: ricorrere al privato. Non sono luoghi comuni ma esperienze vissute: non c’è famiglia che non possa confermarlo. Gli ultimi giorni di agosto uno studio della Facoltà di Statistica della Lumsa (università di Roma) ha dato alle sensazioni e alle esperienze il valore concreto e scientifico dei numeri: 1.348.473 famiglie (il 5,7% del totale) spende ogni mese il 20% dei consumi “non essenziali” per pagare le cure mediche dei suoi componenti; 378.629 famiglie a causa delle spese mediche che devono sostenere finiscono sotto la soglia di povertà relativa.
Partendo dai dati dell’Istat relativi ai consumi delle famiglie italiane la ricerca ha constatato due fenomeni in crescita: da una parte quello dell’impoverimento (famiglie che per sostenere spese mediche di tasca propria, sottraggono risorse ad altre spese non superflue, finendo con lo scivolare nella povertà relativa); dall’altra quello delle “spese mediche catastrofiche”, definizione coniata dalla Organizzazione mondiale della sanità con la quale si identificano le spese che si fanno insostenibili per un nucleo familiare costretto a utilizzare una buona parte delle proprie risorse pur di curarsi. La causa prima che origina le due derive e che spinge i cittadini/pazienti a far ricorso a mezzi propri per la cura sta nei tempi lunghi e lunghissimi delle prestazioni del servizio sanitario nazionale: una mammografia, una risonanza, un’ecografia, se avvalorati dalle impegnative dei medici di base o specialisti, non sono un capriccio.
Anche in questo caso non si dice “pour parler”. Il 18° rapporto realizzato dal Crea Sanità (il Centro di ricerca economica applicata in Sanità) e reso noto a fine gennaio già sentenziava: “Senza riforme e crescita il sistema sanitario nazionale sull’orlo della crisi”. Questo lo sconfortante quadro emerso: sempre più connazionali rinunciano alle cure, si fa fatica a recuperare le prestazioni perse con la pandemia, i ricoveri sono crollati, si registra una generale carenza di personale (quantificata in 15 mila medici e 30-40 mila infermieri professionisti mancanti). Questa carenza si traduce nei tempi lunghi per visite e indagini diagnostiche, che oramai – pure nel nostro territorio – anche il pubblico appalta al privato pur di rispondere alle necessità dei cittadini.
Lo studio del Crea Sanità ha precisato che nel 2021 il finanziamento pubblico ha coperto il 75,6% della spesa sanitaria complessiva e questo ci colloca al di sotto dello standard europeo che invece raggiunge l’82,9% della copertura. Ne è conseguita la crescita della spesa privata che ha raggiunto i 41 miliardi di euro, pari a una spesa media annua per famiglia di 1.700 euro (5,7% dei consumi totali): una voce non secondaria per chi è già alle prese con un’inflazione svuota carrelli e spese energetiche (dalla elettricità ai carburanti) sempre più proibitive.
La sanità, come la salute non è un optional e la nostra stessa Costituzione, all’articolo 32, recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Come ha dichiarato Barbara Polistena, direttore scientifico di Crea Sanità, la sanità non è solo un costo ma un investimento. Non averne cura oggi, destinando le risorse necessarie, significa incappare via via in due conseguenze: da una parte la fuga di medici e infermieri (cosa che già si verifica), dall’altra ridurre la possibilità di innovare e di curare con macchinari, farmaci e dispositivi aggiornati. E questo fa male due volte: e per la perdita di un sistema sorretto da tanti professionisti motivati e brillanti, e per la mancata o ritardata cura che è sempre foriera di un aggravio di sofferenza per chi è alle prese con la malattia.