L'Editoriale
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La memoria corta sul debito

Oltre ai mutevoli discorsi su proposte, tassi e tagli, è giusto avere presente come si è arrivati alla minacciata procedura di infrazione, per non restare con gli occhi fissi a quel dito che l’Europa ci punta contro, dimentichi della luna gigante del nostro debito, che non è mai stato così alto. Nel 2018 il debito italiano è volato al 132,2% del Pil e restano in salita le stime

Parole chiave: Debito (5), Pil (5), Crescita (3), Economia (25)
La memoria corta sul debito

Sono ore frenetiche, evitare la procedura di infrazione è diventato l’obiettivo primo. Obiettivo che sarebbe meglio non perdere mai di vista: non solo per non farsi riprendere dall’Europa, ma soprattutto e innanzitutto per il bene del Paese.

Per questo, oltre ai mutevoli discorsi su proposte, tassi e tagli, è giusto avere presente come si è arrivati a tanto, per non restare con gli occhi fissi a quel dito che l’Europa ci punta contro, dimentichi della luna gigante del nostro debito, che non è mai stato così alto.

Nel 2018 il debito italiano è volato al 132,2% del Pil e restano in salita le stime: 137% nel 2020. Non è sempre stato così: tra gli anni ’70 e ’90 è passato dal 40 al 120% del Pil; fino al 2007 si è attestato sul 100%, ma dal 2008 ha iniziato a crescere fino all’attuale record.

Debito in salita, crisi che ha compromesso la crescita economica, scelte politiche costose hanno allertato quell’Unione a cui apparteniamo. Alla questione, che resta complessa, concorrono infatti da una parte il sistema economico della nazione Italia, dall’altra gli accordi europei che abbiamo sottoscritto (trattato di Maastricht del 1997, Fiscal compact del 2012).

Sulla nostra mancata o scarsa crescita il debito pesa. In Europa, solo la Grecia ne ha uno più alto (180%), mentre Francia e Spagna si fermano sul 100%, la Germania è stabile al 60%.

Cosa significa per noi questo debito? Che paghiamo 65 miliardi di euro di interessi l’anno (il 3,7% del Pil), pari a 178 milioni di euro al giorno. Fior di risorse che potrebbero andare a imprese, università e ricerca, sanità e politiche sociali.

Ma è a questo punto che le narrazioni si dividono: c’è chi sceglie quella della matrigna (e incolpa l’Europa di quanto ci fa pagare); chi quella dei moschettieri (regole uguali per tutti affinché nessuno si faccia e faccia del male).

I meccanismi economici dicono che il debito sale per due ragioni: quando i tassi di interesse sono superiori alla crescita interna (più debito che Pil); quando le amministrazioni locali e centrali creano un deficit e non un surplus (si spende più di quanto si ha).

Fermo restando il peso della crisi, nella storia dell’Italia la crescita del debito può addebitarsi alla cattiva gestione della cosa pubblica e a scelte politiche dispendiose. Si pensi al Reddito di Cittadinanza e Quota Cento, adottati nonostante fossimo “attenzionati” dall’Europa.

Un’Europa, che a seguito della congiuntura del 2008, ci è già venuta in soccorso: grazie alla Banca centrale, presieduta da Mario Draghi, ha evitato che la nostra situazione peggiorasse, neutralizzando l’aumento dei tassi di interesse sui titoli di Stato e acquistando il 20% del nostro debito pubblico. Lo ha fatto in virtù di quelle regole che oggi ci stanno strette, ma che rispondono ad un fine: intervenire per impedire che i singoli stati adottino politiche fiscali insostenibili e lesive per sé e per l’Unione.

Un saggio di Guido Ruta (La Civiltà cattolica n.4053), sostiene che per far scendere il debito e riaccendere la ricrescita il Paese dovrebbe contenere la spesa pubblica, dovrebbe soprattutto riqualificarla, sfrondandola delle spese che odorano di assistenzialismo e di clientelismo e dovrebbe ridurre la spesa pensionistica. Ovvero, fare le scelte politicamente più impopolari: impossibile se la maggioranza della popolazione non decide di supportarle e, come Pinocchio, accettare la medicina amara per poter poi stare meglio.

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