L'uomo d'America
Biden o Trump? Chi sarà l'uomo d'America più votato alle prossime elezioni del 3 novembre? Oltre gli insulti tra i due, pesa la reale situazione del paese tra pandemia, tensioni sociale, difficili rapporti con gli afro americani come con i latinos. Peseranno le criticità economiche e sanitarie. E i voti per posta intanto volano
La via che porta alla Casa Bianca è lastricata d'insulti, secondo uno stile di politica che prospera di qua come di là dell'Oceano. I due contendenti, il repubblicano in carica Donald Trump e il democratico, già vice di Obama, Joe Biden si sono scambiati accuse vicendevolmente pesanti, mettendo in scena i più classici show d'America. Le ultime stoccate: il primo avrebbe un conto in Cina, il secondo apparterebbe ad una "famiglia criminale". Ma è in base alla reale situazione del paese che gli elettori sceglieranno l'uomo da mettere alla guida d'America, le cui stelle sono offuscate da non poche nuvole.
La più recente e la più pesante si chiama coronavirus: è all'ordine del giorno nel mondo intero ma negli Usa pesa di più, dato che guidano la classifica dei contagiati (oltre 8,8 milioni) come delle vittime (oltre 226 mila). Esiti e gestione della pandemia, tra dietrofront ed esternazioni, incideranno sul voto.
Collegata ed esasperata dal virus c'è la questione sanità, impostata su polizze private così costose da non essere per tutti. Massimo Gaggi, autore del saggio "Crack America" e inviato negli Usa del Corriere della Sera l'ha definita: "Il più grosso fallimento del sistema economico americano". Parole a cui si può credere se anche l'Organizzazione mondiale della sanità colloca al 37° posto nella classifica mondiale dell'efficienza delle cure mediche gli States, paese dove le cure costano più che in qualsiasi altro paese al mondo (assorbendo il 18% del Pil nazionale). Costosissimi sono gli ospedali, i farmaci (dalle tre alle dieci volte più cari dei nostri), e i medici (hanno stipendi alti per ripagare il debito contratto per studiare).
Sugli alti costi della sanità incidono pure stile di vita e alimentazione. Negli Usa gli obesi e grandi obesi sono un quinto della popolazione (20%) e si sa che non godono di buona salute, anzi, si ammalano di quelle malattie dei sazi che sono diabete e cardiopatie. E il diabete infatti dilaga, colpendo un cittadino americano su tre; curarlo costa parecchio: l'insulina è diventata un business per le case farmaceutiche.
La salute si lega a sua volta alla questione economica. Se è vero che un tempo i poveri erano magri, oggi è facile il contrario: i cibi sani costano. Negli Usa i meno abbienti comprano cibo a buon mercato che spesso è cibo spazzatura. A ciò si aggiunge l'usanza di acquistare il cibo pronto per strada: ipercalorico e in taglie oversize.
Sono situazioni che sono andate crescendo nel tempo: da una parte non possono avere un unico responsabile - l'ultimo presidente - dall'altra saranno la scomoda eredità per il prossimo.
Il fatto nuovo è semmai che, negli ultimi anni, gli Stati Uniti si trovano stretti in un paradosso socio-economico.
Da un lato l'America sta economicamente meglio dell'Europa: è un paese in crescita e Trump può vantare di aver abbassato come pochi il livello di disoccupazione (al 3,5%). Dall’altro, anche la verità di questi dati può essere fuorviante.
Dopo la spaventosa crisi del 2008, il rilancio economico degli Usa è iniziato con Obama e Trump - eletto nel 2016 - ha continuato a riceverne i frutti. Grave è che al miglioramento dell'economia non è corrisposto quello del tenore di vita di tante famiglie. La conta dei posti lavoro comprende qualsiasi attività, per un qualsiasi arco di tempo; così dietro ad un elevato numero di occupati si nascondano molti "working poor" (lavoratori poveri), a cui appartengono non solo precari sottopagati ma lavori un tempo sicuri, come operai e insegnanti, oggi costretti a un secondo lavoro serale. Dei 21 milioni di americani in età lavorativa che vivono sotto la soglia di povertà, la metà (10 milioni) corrisponde proprio ai lavoratori malpagati: le loro famiglie hanno poche risorse per bene alimentarsi, per curarsi alla bisogna, per far studiare i figli. Se le città restano scintillanti (senza tetto a parte), nelle province impoverite covano delusioni e risentimento e gli immigrati assumono il volto della minaccia.
Questa situazione, sommata all'incertezza sanitaria, diventa fertile humus per le tensioni sociali, mentre la forbice tra ricchi e poveri continua da allargarsi. E qui Trump ci ha messo del suo: con una riforma del 2017 ha concesso ai ricchi e alle imprese, sostenitori del rilancio della nazione, generosi sgravi fiscali.
Alla questione industriale se ne lega un'altra dolente e divisiva tra candidati come nell'opinione pubblica: quella ambientale. Il già presidente ha tirato dritto sul carbone, poco sensibile ai protocolli e agli accordi internazionali come agli allarmi sul cambiamento climatico. Per questo il rivale si è contraddistinto per l'impegno green come per una maggior morbidezza sulla questione migranti.
Gli Usa restano un gigante, ma con i piedi d’argilla: vola altissimo nella tecnologia della Silicon Valley, rilancia le spedizioni spaziali, annuncia imminente il vaccino anticovid. Ma, incredibilmente, è anche l'unica nazione al mondo in cui la vita media diminuisce anziché crescere: se in Spagna vola a 85,5 anni, negli States è scesa a 78,6 anni. Grossomodo l'età dei candidati: 74 Trump e 78 Biden.
E così il mito del paese dove tutto è possibile scricchiola e l'ascensore sociale rallenta: gli Usa sono oggi economicamente forti ma socialmente fragili, i bianchi si impoveriscono e i latinos crescono fino a superare il 30% degli aventi diritto al voto. Il Donald del muro, delle truppe e delle gabbie alle frontiere non ha di che stare tranquillo, come Biden non ha mancato di sottolineare.
Chi sarà premiato dalle urne? I sondaggi premiano il blu di Biden, ma ora l'unico dato certo - del tutto nuovo - è il voto anticipato per posta, già messo in atto da oltre 56 milioni di americani. Un record che dimostra il desiderio di scegliere. O di cambiare? Lo si saprà a breve.
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