L'Editoriale
I popoli, la politica, le religioni
Gli Ebrei non sono la politica dello Stato di Israele. I Palestinesi non sono coloro che hanno eletto Hamas a loro guida. La congerie di informazioni che bisogna desumere dalla storia su ciò che riguarda l’antica provincia romana di Palestina, oggi divisa tra Stato di Israele (1948) e Stato di Palestina (così dal 2013), può confondere e lasciare sgomento chiunque tenti di avvicinarsi a quanto sta accadendo in queste settimane. Se c’è una distinzione, però, che va assolutamente mantenuta chiara è quella tra il popolo e chi lo governa.
Gli Ebrei non sono la politica dello Stato di Israele. I Palestinesi non sono coloro che hanno eletto Hamas a loro guida. La congerie di informazioni che bisogna desumere dalla storia su ciò che riguarda l’antica provincia romana di Palestina, oggi divisa tra Stato di Israele (1948) e Stato di Palestina (così dal 2013), può confondere e lasciare sgomento chiunque tenti di avvicinarsi a quanto sta accadendo in queste settimane. Se c’è una distinzione, però, che va assolutamente mantenuta chiara è quella tra il popolo e chi lo governa. Il popolo ebreo, che abita nello stato di Israele, si è trovato tradito dai suoi politici, come ha opportunamente scritto nei giorni scorsi David Grossman. La fame di potere di poche persone a guida di uno stato, peraltro privo di una costituzione democratica che regoli i poteri, ha portato il popolo a sgretolarsi in fazioni l’uno contro l’altro, facendo precipitare lo Stato di Israele dal luogo più sicuro e controllato al mondo a un covo di infiltrati terroristi e abili vendicatori. Questo è il frutto di una politica governativa insipiente, che ha smesso da tempo di leggere la bibbia, mettendo Mosè definitivamente a tacere e che ha ignorato ogni richiamo ad uno spirito democratico. Il popolo di Israele è da mesi che si ribella a questa miopia sociale. Non di meno il popolo palestinese è stato tradito dai suoi capi, inabili, in settant’anni, a formare una classe politica formata al diritto internazionale, alimentando l’ignoranza con il fondamentalismo religioso e rafforzando sempre di più una percezione di sé di inettitudine e di persecuzione. Chi compra al mercato della storia sono i politici e i governi, ma chi paga il prezzo salatissimo è la gente. I popoli e le religioni nel Medioriente sono diversi, ma la politica è sempre uguale: la brama di potere di pochi affama i popoli, producendo morte e alimentando un odio perpetuo tra le generazioni, non senza, purtroppo, il bieco opportunismo di paesi che si ergono a paladini della democrazia. Far assurgere la violenza e la vendetta a prassi politica è una logica incomprensibile, perché mai la storia ha dato ragione a chi usa questi mezzi. Le ripercussioni a livello internazionale di questa politica unilaterale, tuttavia, come vediamo, hanno un peso anche da noi, che facilmente ci lasciamo portare in sterili polarizzazioni. Non possiamo perdere di vista che schierarsi, in questa fase, è l’unica cosa da non fare, perché c’è di mezzo la vita della gente, anche della nostra gente, che viene abbindolata da urla sconclusionate e non è aiutata a vedere che lo spirito democratico, fatto di dialogo, di compromessi, di ricerca del bene comune, di confronto con armi pari, è a rischio di estinzione. Un antico adagio medievale diceva: Ex oriente lux, dall’oriente viene la luce, in riferimento al sorgere del sole. Oggi dall’oriente abbiamo popoli affamati e una politica, da una parte e dall’altra, totalmente inadatta a costruire civiltà. C’è bisogno di recuperare la radice più antica e più sana dell’Occidente che ha visto sorgere nel suo interno la democrazia, affinché anche da noi la politica non diventi unilaterale, ma rimanga dialettica, capace di formare le generazioni al pensare il bene comune, aperte alle differenze e, soprattutto, alla dimensione religiosa. Se quest’ultima non è impastata con la vita della gente, essa si prende i suoi spazi, a volte in una dimensione privata apparentemente innocua, come vorrebbero i benpensanti, altre volte con il disprezzo più totale di ogni ordinamento politico e sociale. Le sirene sono accese, vanno ascoltate.
Don Maurizio Girolami