Convivenza Forzata
Negozi chiusi, commercio, industrie, turismo: fermi. Non per polemiche ma per essere vicino alle aziende e famiglie del nostro territorio abbiamo raccolto la loro voce. Eccoli da Frisanco a Portogruaro, da Annone a Fontanafredda ( i dettagli nello speciale a pag.4,5,6 - vedi gratuitamente il pdf)
E' quello che ci aspetta: non una ma più forme di convivenza forzata. Quella col coronavirus innanzitutto che tutte le altre, a caduta, provoca.
Non ce ne libereremo. Gli esperti concordano: solo un vaccino può mettere in sicurezza il mondo. Non se ne parla fino a primavera 2021, nella migliore delle ipotesi. Nella sospirata attesa non ci resta che convivere, molto malvolentieri, con questo timore, con questa malattia a portata di respiro, con questa minaccia reale e incombente. La nostra difesa è, e resta, la stessa: isolarci gli uni dagli altri. Sarà così fino al 3 maggio. Poi resteranno parole d’ordine: la prudenza, la gradualità, la protezione per mani e viso, il distanziamento.
La seconda convivenza che continua è quella dentro le nostre case: con i familiari e con una quotidianità nuova. Nuova perché arricchita di incombenze domestiche mai sperimentate: la scuola a distanza dei figli, il telelavoro dei genitori, la reclusione forzata dei nonni, non meno disagiati senza i circoli, le partite, i gruppi e, per alcuni, con tanta solitudine. Ci sono situazioni di ordinarie difficoltà che si intensificano, ma anche sorprese che nascono dallo starci accanto molto di più. Una viene da un tempo del fare non meno intenso ma più lento, graziato dall’assenza di spostamenti. Un’altra da uno stile di vita più scarno di cose acquistate che oggi ci paiono anche superflue.
La terza convivenza è quella delle regole che gravano sulle situazioni lavorative. E’ questa, ora, la crepa nel sistema. Il premier Conte aveva parlato - quando il 21 marzo aveva dato le nuove disposizioni per la chiusura del Paese - di rallentare il motore. Molti hanno chiesto di farlo in qualche modo ripartire, pena la sopravvivenza di tante realtà produttive.
Non si ferma una nazione, come ogni singola azienda, a cuor leggero: da lì vengono le risorse per i singoli e per lo Stato. La non riapertura non è figlia del mancato ascolto degli appelli ma dei dati dei contagi e conseguenti indicazioni della comunità scientifica. Il fermo lo detta il Covid19: la nostra convivenza forzosa è questa.
Resta aperta la questione economica, mentre le cifre diventano astronomiche, impensabili solo fino a due mesi fa: 500 miliardi dall’Europa e forse altrettanti, se gli Stati troveranno la quadra che ora manca.
E’ dura specie per chi - come baristi, ristoratori, parrucchieri, estetisti, gestori di cinema, teatri, sale concerti - ha un lavoro aperto al pubblico e non una merce da vendere e consegnare a domicilio.
E’ dura, data la geografia della diocesi, per chi vive di turismo: dai monti al mare. Quel turismo che aveva quest’anno un calendario ottimale con Pasqua, 25 aprile e 1° maggio in sequenza perfetta. E, invece, vive nell’angoscia: oggi chiuso e domani in balia, qui, delle regole che verranno e, all’estero, della paura da coronavirus che non è una cartolina d’invito.
Per questo abbiamo scelto di dare ampia voce alle attività del nostro territorio. Non per entrare nel brutto gioco politico e partitico della polemica dell’uno contro l’altro. Abbiamo ascoltato persone: chi della propria attività vive, fa vivere la propria famiglia e quelle dei dipendenti. Ne abbiamo colto i timori, l’attesa, la creatività e anche la consapevolezza della prudenza necessaria. Sono parole sofferte e sagge insieme, mature più che altrove.
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