Oskar Tanzer salvato da don Primo Mazzolari
Le leggi razziali lo hanno buttato fuori dalla scuola due volte: la prima nel 1933 nel suo paese natio in Germania, la seconda in Italia nel ’38. Unica e medesima la colpa: essere ebreo. É questo l’inizio della storia di Oskar Tänzer, prossimo ai 93 anni, un sopravvissuto alla Shoa ancora in vita.
Le leggi razziali lo hanno buttato fuori dalla scuola due volte: la prima nel 1933 nel suo paese natio in Germania, la seconda in Italia nel ’38. Unica e medesima la colpa: essere ebreo. É questo l’inizio della storia di Oskar Tänzer, prossimo ai 93 anni, un sopravvissuto alla Shoa ancora in vita.
Anche se non ha mai messo piede in un campo di concentramento, ha attraversato gli anni bui della seconda guerra mondiale che lui definisce "uragano" per la portata della distruzione. Fin da bambino il vivere suo e della sua famiglia ebrea (mamma, papà e altri due fratelli) fu subito messo in pericolo.
ORIGINI
Oskar è nato nel 1926 a Saarbrücken, all’epoca ancora parte della Francia, ma nel 1936 la cittadina diventa ufficialmente tedesca. In effetti lo era da tempo. Tanto è vero che Oskar già nel 1933 viene espulso dalla scuola: ha solo 7 anni e, da un giorno all’altro deve chiudere con la vita che conosce: niente scuola, maestra, compagni. Capisce di essere un indesiderato.
"Nessuno ti ha aiutato o ha detto qualcosa?": questo gli hanno chiesto i novecento studenti delle superiori che, nella mattina di mercoledì 22 maggio, lo hanno conosciuto in un incontro fiume al teatro Verdi di Pordenone, evento conclusivo della lunga proposta culturale di Aladura, iniziata in settembre 2018 nei giorni di Pordenonelegge e dedicata a declinare il tema: "Porte". Immediata la sua risposta: "Nessuno. Quelli che sono rimasti nella scuola hanno smesso di essermi amici, di conoscermi perché avevano paura. Io ho subìto questo come una cosa che era bella ma che si è fermata all’improvviso, senza che io potessi capire perché".
Tutti i bambini ebrei allora rimasero senza scuola: ne venne improvvisata un’altra, la frequentavano a turni "ma - ha raccontato - via via le presenze diminuivano. Solo dopo compresi: erano iniziate le deportazioni". E anche la sua famiglia cercò un rifugio altrove: "L’Italia ci prese".
A MILANO
Anche se abitavano a pochi passi dalla stazione fu difficile riuscire a prendere il treno per arrivare in Italia. Uscirono uno alla volta, senza valige, senza niente salvo quanto indossavano. La chiave fu lasciata nella toppa, perché nessuno potesse immaginare la fuga.
Ce la fecero e arrivarono a Milano. Era il 1936: cominciò per la famiglia e per Oskar una vita nuova, tutta da imparare: una nuova casa, una nuova lingua (sapeva dire solo Buongiorno e Buenos Aires il nome del corso dove abitava), una nuova scuola, nuovi compagni. Ma erano salvi e insieme.
Durò poco: cominciarono i censimenti degli ebrei e nel 1938 le leggi razziali. Così per la seconda volta, a 11 anni, Oskar si trovò sbattuto fuori dalla scuola e per la seconda volta cominciò a frequentare una scuola ebraica. La paura ritornò.
Poi, nel 1940, una notte sentirono buttar giù la porta di casa. Il padre venne portato via e incarcerato a San Vittore, perché ebreo.
"Andammo due volte a trovarlo - ha raccontato-: lui barba lunga, pallido, perso nei pantaloni che reggeva con la mano destra perché gli avevano sequestrato la cintura. Irriconoscibile. Furono due incontri di silenzio e lacrime: cinque persone che piangevano. Niente altro". Lo spedirono al campo di internamento di Ferramonti di Tarsia in provincia di Cosenza: "Lo portarono al treno incatenato: un ebreo era come un bandito".
La famiglia restò sola e senzaviveri: lui e suo fratello si inventarono un lavoro. Andarono a prendere gli scarti dei pellicciai, le pelli di teste e zampe e pance, e realizzarono colli e guarnizioni con quelle. Funzionò per un po’. Poi iniziarono i bombardamenti, le notti in cantina. Anche i Tänzer andarono ad ingrossare le fila degli sfollati, destinazione Bozzolo.
A BOZZOLO
Era il terzo cambio di casa (senza acqua e senza bagno) per Oskar e i suoi fratelli. "Eppure ci parve un sogno: tutti sapevano che eravamo ebrei ma ci lasciavano tranquilli. Dimenticammo il pericolo" ha commenatato Oskar, ricordando come a Bozzolo gli ebrei fossero di casa fin dai tempi dei Gonzaga. Sembrava una nuova vita, ma anche a Bozzolo arrivarono i tedeschi. E tutto cambiò.
Una notte bussarono alla porta: "Entrarono il podestà, il maresciallo e il prete. Il podestà ci disse di aver ricevuto l’ordine di segnalare tutti gli ebrei. Lui si era dato malato per tre giorni, giusto il tempo per noi della fuga, ma poi... Il maresciallo ci tranquillizzò: erano dalla nostra, non dovevamo aver paura di loro tre. Il più organizzato fu il prete: o fuggire o nascondersi suggerì. Lui aveva già individuato una cascina e poteva darci un carretto". Quel prete era don Primo Mazzolari.
Il padre - che era rientrato da poco dal campo - valutò il da farsi: nascondersi lì significava mettere altri nel pericolo, fuggendo avrebbero rischiato solo loro. E decisero per la fuga.
SALVIFICHE COINCIDENZE
Oskar di gran carriera venne spedito nella casa di Milano a cercare risorse. Vi arrivò con mezzi di fortuna e, giunto al vecchio palazzo, la portinaia gli consegnò un biglietto in yiddish lasciato da una ragazza ebrea. É un errore: non era destinato ai Tänzer, ma indicò loro la strada. La ragazza poteva farli passare in Svizzera tramite il fidanzato, che faceva la guardia ed era disposto, in cambio di una piccola cifra, ad aprire un varco nella rete di confine.
Oskar volò a Bozzolo: tutti concordarono di tentare.
Fu una corsa anche contro il tempo: tornarono a Milano per incontrare la ragazza del biglietto, ma i fascisti li cercavano e un uomo della X Mas li raggiunse per fermarli: fine della salvezza. I fratelli, disperati stavano per farlo fuori quando nella vecchia casa di corso Buenos Aires entrò la madre che li fermò all’istante: "Non uccidetelo". Obbedirono. Lo lasciarono libero e scapparono, disperdendosi, e correndo più veloce che poterono. "Fu un’altra fortuna: non facemmo del male a nessuno".
In qualche modo riuscirono a ritrovarsi tutti e a Ponte Chiasso incontrano con la guardia complice: pioveva, faceva freddo, il torrente era ingrossato. Entrarono nell’acqua gelata per passare il confine e ci riuscirono.
Ma una volta al di là, una guardia svizzera li bloccò: ne avevano già accolti troppi. "Dovete tornare indietro da dove siete venuti". Era la morte certa per tutti.
Terzo evento fortunato, ha raccontato Oskar: "La mamma riconobbe un conoscente, lo chiamò a gran voce. Questo si avvinicò, li riconobbe, capì e li fece passare. Restare significò vivere.
DON PRIMO MAZZOLARI
Dopo la guerra la famiglia tornò a Milano unita e salva, ma senza più parenti, deportati e spariti per sempre. Oskar si è poi formato una famiglia ma ha sempre portato nel cuore l’immensa gratitudine per i tre che a Bozzolo lo hanno salvato. Per essi ha cercato il riconoscimento di Giusti. Più volte si è recato sulla tomba di don Mazzolari a pregarlo con la sua preghiera ebraica.
Simonetta Venturin
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento