Partiti presi da incertezze vecchie e nuove
Il Governo acceleri sulla lotta alla pandemia
A un anno dall’esplosione della pandemia in Italia, il virus non dà tregua. E’ una sfida che chiama tutti – istituzioni (europee, nazionali, locali) e cittadini – a un ulteriore sforzo il più possibile unitario. Il governo Draghi, insediato appena da un mese, è impegnato in una battaglia che si spera possa essere quella decisiva. La nascita di un esecutivo di alto profilo e appoggiato da una larghissima maggioranza – extrema ratio per evitare di andare a elezioni lasciando il Paese senza governo per molti mesi – è stata circondata da grandi attese e speranze sul fronte della lotta al Covid-19 e alle sue conseguenze sanitarie, sociali ed economiche.
Tra gli effetti collaterali, potenzialmente virtuosi, di questo delicato passaggio istituzionale, quasi tutti gli analisti avevano segnalato anche l’opportunità di una tregua politica – questa sì, possibile – che avrebbe giovato in primo luogo alla guerra contro il virus e che avrebbe inoltre offerto ai partiti un’occasione quasi irripetibile per rigenerarsi e prepararsi al futuro, senza la tagliola di elezioni ravvicinate. Tanto più che anche l’appuntamento con il voto nelle grandi città e in Calabria è stato rinviato in autunno.
Purtroppo i primi segnali non sono confortanti. Sul versante del centro-sinistra, la fine del Conte-bis ha avuto l’effetto di una deflagrazione che ha investito sia una formazione dalla storia recente come il Movimento 5 Stelle, sia un partito come il Pd che – per vari filoni – può vantare una storia lunga e un radicamento territoriale diffuso.
Nel caso del M5S è in corso un chiarimento radicale sulla natura stessa di questo soggetto politico per il quale il sostegno a un governo guidato da una personalità come Mario Draghi rappresenta uno scarto di enorme portata rispetto alle origini, anche se si colloca sulla linea di quel voto a favore della nuova Commissione Ue che nell’estate del 2019 aveva segnato l’apertura europeista del Movimento. Decisamente meno prevedibile e anche meno immediatamente comprensibile è la crisi del Pd. Crisi di leadership e di linea politica per un partito che vanta i migliori rapporti a livello europeo e che, sulla carta, avrebbe dovuto riconoscersi in modo fisiologico nel nuovo governo. L’impressione è che ancora una volta stia riemergendo il problema genetico dell’amalgama tra la componente di derivazione diessina e quella di origine popolare. Problema con cui più o meno direttamente hanno a che fare le due scissioni subite dal Pd, quella di Leu e quella di Renzi.
Sul versante del centro-destra, Forza Italia è quella che appare più a suo agio nel nuovo quadro politico. Ma lo schieramento deve fare i conti con la crescente rivalità-competizione tra la Lega e FdI. Quest’ultimo partito è rimasto fuori dalla maggioranza e, a livello europeo, si è schierato nettamente su posizioni sovraniste, contigue a quelle “illiberali” del premier ungherese Orban. La Lega è invece entrata a pieno titolo nella maggioranza – sospinta soprattutto dagli interessi produttivi delle Regioni del Nord – e ha ministri di peso nel governo, ma il suo leader continua a sostenere pubblicamente posizioni contestatarie sulle strategie anti-pandemia. E sull’Europa conserva un’ambiguità di fondo che prima o poi dovrà essere risolta.
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