Padre Ripamonti: in Libia si muore
Smettere di finanziare la guardia costiera libica e risolvere la complessa situazione dei migranti in Libia. Sull'aumento degli sbarchi in Sicilia "si poteva immaginare due mesi fa che le persone sarebbero arrivate anche quest’estate e in emergenza Covid. Se si fosse programmato per tempo non ci saremmo trovati a gestire in modo approssimativo". Intervista a padre Camillo Ripamonti, del Centro Astalli.
Tre migranti sudanesi sono stati uccisi dalla guardia costiera libica durante una sparatoria la scorsa notte a Khums, est di Tripoli, durante le operazioni di sbarco. Erano stati intercettati in mare e riportati a terra, per essere nuovamente destinati ai centri di detenzione da cui cercavano di fuggire. E’ solo l’ultimo evento di questa ennesima estate calda sul fronte sbarchi, con le solite polemiche sui migranti. Sullo sfondo l’emergenza Covid-19 non ancora del tutto risolta. Inoltre un centinaio di migranti sono fuggiti – e poi rintracciati – dalla tensostruttura a Porto Empedocle, perciò il ministro Luciana Lamorgese ha deciso di inviare l’esercito e cercare una nuova nave-quarantena. Ne abbiamo parlato con padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli di Roma, il servizio dei gesuiti in aiuto ai richiedenti asilo e rifugiati.
Tre migranti uccisi durante una sparatoria in Libia dopo essere stati intercettati dalla guardia costiera libica. Qual è la sua reazione?
Questo fatto grave dimostra che la Libia non è un porto sicuro. Riportare le persone in una situazione di instabilità conduce anche alla
morte. Continuare a finanziare la Guardia costiera libica non ci dà la possibilità di verificare se la loro azione è in linea con il rispetto dei diritti umani. Le soluzioni prese in passato non hanno messo al centro le persone ma gli interessi dei singoli Stati e dell’Unione europea anziché la salvezza delle persone.
Eppure il Parlamento ha dato nuovamente parere positivo al rifinanziamento e al rinnovo degli accordi Italia-Libia.
La soluzione di riportare o utilizzare la Libia come frontiera esterna dell’Europa, così come la Turchia per i siriani, non è rispettosa dei diritti delle persone. Con tante altre associazioni chiediamo da tempo di procedere all’evacuazione dei centri di detenzione libici ed elaborare percorsi alternativi e in sicurezza, come i corridoi umanitari, per sottrarre le persone ai trafficanti.
Però è sotto gli occhi di tutti che l’Europa non li vuole. E gli sbarchi e le fughe di questi giorni in Sicilia stanno alimentando le polemiche.
La strumentalizzazione del fenomeno migratorio per fini politici non ne aiuta la gestione, che dovrebbe essere ordinaria e programmata. Si poteva immaginare due mesi fa che sarebbero arrivate anche quest’estate e in emergenza Covid. Se si fosse programmato per tempo non ci saremmo trovati a gestire in modo approssimativo queste situazioni. Anche sistemare in tensostrutture molte persone insieme in periodo di Covid non è una soluzione adeguata.
La nave-quarantena è una soluzione?
La nave quarantena può essere una soluzione-tampone in alcune situazioni ma non può essere l’unica modalità. Andava tutto programmato, invece si continua a gestire in maniera emergenziale. Mi rendo conto che è difficile quando arrivano tanti e tutti insieme ma se il fine della quarantena è tutelare la salute delle persone e delle collettività si potevano distribuire sul territorio in piccoli gruppi, perché è più facile controllarle.
Per mesi, durante il lockdown, i migranti sono spariti dai media anche se gli sbarchi continuavano. Ora che ci siamo un po’ tranquillizzati ricomincia la solita narrazione dell’invasione?
I migranti negli ultimi anni sono diventati il capro espiatorio che serve a prendere voti, spostare gli assi politici e impaurire le persone. Ora che non siamo più nel picco dell’epidemia e i piccoli focolai vengono dall’esterno il migrante diventa, per eccellenza, colui che porta la malattia ed ora viene strumentalizzato in questo modo.
A Lampedusa arrivano in autonomia barche e barchini dalla Tunisia. Da una sono scese persone che sembravano turisti, perfino un barboncino. Cosa ci dice questo fatto?
Ci dice che il fenomeno migratorio è trasversale e non utilizza un’unica via per arrivare in Europa, come abbiamo verificato in passato. La modalità si modifica in funzione delle possibilità di ottenere il risultato sperato di arrivare nel nostro continente, che nonostante le difficoltà continua ad essere, nell’immaginario delle popolazioni più in difficoltà, il luogo dove poter condurre una vita più felice.
Però l’unica via d’accesso in Italia è la richiesta di qualche forma di protezione internazionale.
Abbiamo una legge sull’immigrazione che risale al 2000 ma il fenomeno migratorio negli ultimi 5 anni è cambiato in modo radicale. Continuare ad utilizzare una legge che non corrisponde più a quanto succede nel nostro Paese non aiuta nella gestione e rischia di portare ricadute negative sui nostri territori.
Se non abbiamo più decreti flussi o alternative all’arrivo irregolare rischiamo di creare molti danni nel tessuto sociale, perché si creano irregolari che alimentano le file della manovalanza e dello sfruttamento da parte del caporalato. Serve una nuova linea sull’immigrazione perché il fenomeno si è modificato ma gli Stati non ne hanno ancora preso coscienza. Il Patto globale sulle migrazioni invita infatti gli Stati ad assumere una prospettiva globale.
L’esercito in Sicilia a presidiare i centri. Come lo vede?
Si parla di 12.000 arrivi, tre volte di più dello scorso anno ma se raffrontati agli anni precedenti sono molto contenuti.
E’ una narrativa strumentale: inviare l’esercito può tutelare e tranquillizzare l’opinione pubblica – ricordiamo però che l’esercito è stato chiamato anche per il Covid e la movida – ma rafforza anche l’idea che ce n’è bisogno e che siamo invasi. Quando invece i numeri sono molto più bassi rispetto al passato e si potevano gestire in modo ordinato programmato. In questo modo si rischia di alimentare la paura.
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