Boer: “Prima eravamo tutti sconnessi, adesso dobbiamo essere tutti digitali”
Luca si racconta all’Efasce dalla Spagna. Sul post Covid-19: “Bisogna cercare l’equilibrio tra le relazioni che danno la qualità e la parte digitale che ti permette di creare continuità”
Luca Boer, originario di Tamai di Brugnera, CEO di talentrepublic - vive a Madrid.
Luca, raccontaci cosa fai e di cosa ti occupi esattamente.
Dividerei quello che sto facendo adesso da quello che sono professionalmente, Da quello che mi sento. Talent Repubblica è una piccola azienda di consulenza, soprattutto in risorse umane, specializzate da un lato sulla ricerca e selezione di profili “pure digital”, dall’altro ci occupiamo di consulente organizzative e di trasformazione digitale. Anche se quest'ultimo aspetto lo stiamo lasciando un po' a margine. Barcellona Tech City è un incubatore di progetti digitali dal quale sono uscite iniziative molto importanti, conosciute anche in Italia.
Quindi fondamentalmente ci occupiamo di ricerca e selezione nell'ambito digitale, ma non solo, sia per la Spagna ma anche fuori; abbiamo fatto dei progetti anche a Milano per la ricerca di un amministratore delegato per un’agenzia di comunicazione. La parte di organizzazione e di trasformazione digitale riguarda sicuramente temi di cui ci occupiamo e che mi interessano personalmente. Ho sempre lavorato nell'ambito delle risorse umane in multinazionali a livello globale, ancora oggi mi sento più un direttore di risorse umane che un piccolo imprenditore cosa che in realtà adesso sono.
Facciamo un passo indietro, all’inizio di questa tua avventura fuori dall’Italia. Com’è iniziato il “tuo viaggio”?
Alla fine uno si muove dal suo paese sostanzialmente per due motivi: o per amore o per lavoro; nel mio è stato per il primo anche se poi fortunatamente è arrivato anche il lavoro.
Ho conosciuto mia moglie nel lontano 1994 in un viaggio estivo in Scozia, ci siamo sposati due anni dopo. Per fortuna quando lavori in una multinazionale capitano anche queste opportunità e dopo poche settimane dal matrimonio il mio capo di allora mi chiamò e mi disse: “Luca c'è una mezza soluzione per te: un posto vacante a Barcellona come direttore delle risorse umane”. Ed effettivamente era molto più comodo fare il commuting tra Barcellona e Madrid che non da Pordenone. In effetti questo è forse il motivo per cui ancora oggi non mi sento “compreso tra gli emigranti” anche se in realtà evidentemente lo sono. Già con la mia generazione probabilmente ci siamo sentiti figli dell'Europa e ora vedo che anche per mia figlia è così; in particolare i confini politici per lei sono insignificanti, si sente mezza italiana e mezza spagnola, studia in Inghilterra però quest'anno ha fatto una parte di semestre alla Bocconi di Milano. La mia generazione ha vissuto questa realtà di emigrazione in una forma completamente diversa da quella in cui l'hanno vissuta i nostri genitori e i nostri nonni. Il mio percorso professionale è senz’altro legato all’Europa anche perché, pur avendo la famiglia stabile a Madrid, ho passato anni come “pendolare” tra Parigi e Londra.
Cosa ci dobbiamo aspettare dopo questo momento legato al COVID-19, rispetto a come vivremo le nostre relazioni e le “connessioni”?
Quello che dobbiamo cercare di fare è non utilizzare la “teoria del pendolo”: prima eravamo tutti sconnessi, adesso dobbiamo essere tutti digitali. Prendiamo l'esempio dell'educazione: la tecnologia era già presente, solamente che non avevamo creato i comportamenti necessari ad utilizzarla in maniera corretta per formare le persone. Quindi bisogna cercare il giusto equilibrio tra le relazioni che danno la qualità e la parte digitale che ti permette di creare continuità, le due cose non sono antagoniste ma sono complementari. La complementarietà tra relazioni e tecnologie digitale ci darà la possibilità di umanizzare la stessa tecnologia e metterla davvero al servizio dell'uomo.
La tecnologia ci può aiutare a gestire i comportamenti umani in maniera migliore e più efficiente, però non deve essere quella la motivazione che spinge i comportamenti umani. Cercare questo punto di equilibrio, ed evitare gli estremi, è fondamentale altrimenti rischiamo di perdere tutti i colori e la positività di molte cose.
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