1° maggio, l’intervento di Ragogna: “Tessuto sociale ed economico tutto da ricostruire”

"Noi abbiamo filo e stoffa per tessere, perché la forza di rinascere è di queste terre friulane e venete che hanno sempre saputo riprendersi"

 

l virus è globale. L’epidemia è diventata pandemia in un batter d’occhio, lasciando lutti, paure e disperazione.

Ora si dovrà ricostruire il tessuto economico e sociale. Le energie necessarie si potranno trovare nei territori dov’è ancora forte il senso di comunità.

Noi abbiamo filo e stoffa per tessere, perché la forza di rinascere è di queste terre friulane e venete, le quali hanno sempre saputo riprendersi da invasioni, guerre, terremoti, alluvioni e altre epidemie. Lo ricordano le ricche pagine di storia, come i sentimenti raccontati a più riprese da padre David Maria Turoldo: “Da noi anche i morti continuano a lavorare, a l’è il nestri destin! Si deve andare avanti, senza chiedere nulla a nessuno, possibilmente neppure a Dio”.

Il mondo è cambiato più volte, ma nella memoria restano tracce di orgoglio che rappresentano una bussola preziosa. Proprio in occasione del Primo Maggio, soprattutto in questo periodo difficile, è importante raccogliere i valori condivisi per ripartire.

La cultura “del fare” ha solide radici nel lavoro e nella solidarietà, due elementi che nel dopoguerra contribuirono alla rinascita dei territori. La nostra storia economica è ricca dell’effervescenza di attività che partivano dai sottoscala delle abitazioni, o dalle tettoie appositamente murate, o dalle stalle ristrutturate dopo averle svuotate dai buoi. Erano sufficienti un tornio e una saldatrice (e tanta passione) per creare piccoli nuclei produttivi.

Poi si è aggiunto tutto il resto: spirito imprenditoriale, rischio d’azienda, capacità organizzativa e innovazione.

Proprio il nostro più grande industriale di tutti i tempi, Lino Zanussi, spiegava con enfasi ai suoi manager il principio fondamentale dell’innovazione: inventare in continuazione per anticipare i tempi. Lui riuscì a costruire il colosso degli elettrodomestici, portando la modernità nelle case.

E così fu per altri imprenditori pordenonesi, in particolare Luciano Savio, Giulio Locatelli, Armando Cimolai.

Le fabbriche diventarono patrimoni di risorse umane da coltivare accuratamente. Queste erano lezioni di vita con capacità di contagio. Tant’è che i più grandi gruppi diventarono imprese seminali, incubatrici di altre aziende. Si diffuse tanta di quella imprenditorialità da dar vita a una galassia di piccole e medie aziende, in grado di arricchire il sistema manifatturiero con una spiccata propensione all’export. Tutte queste qualità resistono ancora, anche dopo la selezione darwiniana provocata dalla crisi finanziaria 2007/2009.

Ci fu una visione ancora più ampia, che si coglie dall’eredità lasciata da Lino Zanussi. Era la capacità di andare oltre gli stabilimenti, incarnando il principio di Adriano Olivetti: “L’azienda non può guardare solo all’indice dei profitti, io penso la fabbrica per l’uomo, non il contrario”. Questi valori contribuirono alla costruzione del senso di comunità, sia nel corpo sia nell’anima, con investimenti in cultura e formazione professionale. Contavano di più le idee e i progetti: veniva prima l’economia reale, quella delle persone in carne e ossa, rispetto alla finanza speculativa fine a se stessa. I soldi in qualche modo si trovavano. Così, dentro questa crisi devastante, dovrà affermarsi ancora la forza delle idee e la tenacia imprenditoriale. I maledetti “schei” salteranno ben fuori, come ai tempi della ricostruzione post- bellica.