L'Editoriale
Un’intelligenza da paura
In tema di intelligenza artificiale si resta in vigile e curiosa attesa, Ma proprio nel momento in cui è al sapere degli esperti che ci si affida, turbano non poco notizie e appelli da parte degli stessi che remano contro la loro stessa creatura
Di fronte alle novità il timore è un po’ di tutti: c’è un sistema di difesa naturale che induce alla prudenza, assecondato dal fatto che la mente umana predilige la ripetizione e l’abitudine. Non sempre è per pigrizia, di solito è per “economia cognitiva”: cambiare richiede studio, reimpostazione di procedure, fatica. Ma è al contempo vero che, intuita la convenienza, si abbraccia la novità e la si cavalca per trarne tutti i benefici possibili. Ed è grazie ai successivi e continui cambiamenti che, novità dopo novità, l’uomo si è evoluto, dalla prima selce al computer.
La grande novità dei nostri giorni è l’Intelligenza Artificiale (AI): temuta per le dimostrate capacità di gestire e organizzare creativamente contenuti di testi e immagini (Papa Francesco col piumino bianco e l’arresto di Trump sono due esempi che hanno fatto il giro del mondo), ma pure attesa come organizzatrice di tracce (ChatGpt), una sorta di navigatore che sbozza la strada, sia pur ancora necessario del consapevole filtro del raziocinio pena il correre rischi concreti non diversamente da quell’automobilista che, fidandosi ciecamente del navigatore, si è infilato con l’auto per le scale della metro.
In tema di intelligenza artificiale, in bilico tra timori e curiosità, ci si muove al momento con cautela, tra tanta curiosità, ricerca di informazioni e dosata prudenza, in precario equilibrio tra il non sputar sentenze a vanvera e il non tuffarsi ingenuamente in acque non sperimentate, affidandosi a un mare che pare calmo e cela tempeste (fake news non facili da svelare tali). In questa vigile e curiosa attesa, proprio nel momento in cui è al sapere degli esperti che ci si affida, turbano non poco notizie e appelli da parte degli stessi.
Tutto è partito ai primi di maggio dalla notizia (vera) delle dimissioni da Google di Geoffry Hinton, il “padre” dell’AI, creatore nel 2012 di un sistema capace di gestire milioni di dati e foto in autonomia, venduto poi da lui stesso a Google nel 2013 per 44 milioni di dollari. Licenziandosi dall’azienda ha affidato a Twitter le sue ragioni: “Voglio poter parlare dei pericoli dell’AI senza preoccuparmi dell’impatto che questo ha su Google”.
Hinton ha aperto il suo vaso di Pandora e, come nel mito, non ne sono uscite cose belle. I rischi da lui percepiti non sono lievi e vanno nell’ottica delle facili derive: il sistema può creare disinformazione in enorme quantità, può mettere a rischio milioni di posti di lavoro, può decidere di convogliare su di sé l’energia di cui abbisogna togliendola ad altri, può darsi obiettivi non in linea con la volontà dei programmatori e i cattivi del mondo potrebbero usarlo per i loro scopi (dalle elezioni manipolate alle guerre). Tutto vero? Hinton, che il sistema lo conosce bene, ha dichiarato di aver contemplato simili pericoli per il futuro “tra trenta-cinquanta anni”, ma di essersi reso conto che il rischio è già presente.
Ancor prima di lui, a fine marzo, mille accademici e imprenditori guidati da un pioniere come Elon Musk, avevano chiesto una moratoria di sei mesi sulle ricerche dell’AI preoccupati per la rapidità della sua evoluzione e diffusione. Musk stesso ha definito l’AI: “Un mostro che, una volta liberato, non può essere controllato”.
A fine maggio un altro allarme è stato inviato dai 350 firmatari– tra i quali i guru della AI e numerosi imprenditori – di un appello che parla di “umanità in pericolo” e chiede alla politica di prendere sul serio il fatto che, in sei mesi, l’AI non solo ha avuto un’ampia e rapida diffusione ma, imparando dai suoi stessi errori, diventa sempre più potente e intelligente tanto che esiste il rischio reale che superi le potenzialità previste diventando più forte dei programmatori. Fantascienza e trama da film? O come fu per Verne, i suoi romanzi sul viaggio fino alla luna (1865 e 1870) si fecero poi realtà (un secolo dopo con l’allunaggio)?
Sul fronte lavoro perso o mancato i dati, purtroppo, danno ragione a quanto previsto dagli esperti: l’Ibm ha sostituito 7.800 assunzioni con sistemi di AI, il gruppo bancario americano Golman Sachs ha parlato di 300milioni di posti di lavoro a rischio (Corriere della Sera, 2 maggio); Alphabet ha annunciato il taglio di 12mila posti di lavoro, Facebook di 10mila, Amazon di 9mila (La Repubblica, 3 maggio). Il Sole 24 ore ha sottolineato che l’AI “non è una macchina potenziale ma un fatto reale”. Non sono del resto fantascienza alcune applicazioni che ben conosciamo: il riconoscimento facciale (per lo sblocco del telefono), le continue proposte di Amazon e Netflix, i suggerimenti d’acquisto di Google che, sulla base delle nostre ricerche memorizza le nostre curiosità e propone prodotti affini al nostro gusto.
L’ultima scoperta sulle potenzialità dell’Intelligenza artificiale viene da un articolo pubblicato sulla rivista Nature neuroscience: racconta di un esperimento nel quale l’AI è riuscita a leggere il pensiero umano (sebbene in modo definito “ancora rozzo”), sulla base di interpretazioni di risonanze magnetiche funzionali che misurano la quantità del flusso di sangue presente nelle diverse aree del cervello a seconda di come queste vengono stimolate da immagini e suoni. Di fronte a tutto ciò il padre della AI, Hinton, sta invitando gli esperti del mondo ad essere vigili per sapere quando fermarsi ed arginare in tempo l’intelligenza artificiale: lo ascolteranno?
La prima a muoversi è stata l’Unione europea: è infatti in discussione la prima legge al mondo che mira a dare linee guida sull’uso dell’intelligenza artificiale. Aspettiamo fiduciosi: in fondo, dal vaso di Pandora non scappò la speranza che così non venne perduta.