L'Editoriale
Le due mani su Giovanni Paolo II
Le 17.17 del 13 maggio 1981 il mondo si è fermato, immobile su un urlo: “Hanno sparato al papa!”. Dell’attentato a Giovanni Paolo II si sono dette e scritte molte parole, fornite diverse spiegazioni a partire dagli stessi protagonisti. Ali Agca, l'attentatore, ha cambiato la sua versione 52 volte. Il Papa non ha mai cambiato la sua: “Una mano ha voluto uccidere; una mano ha deviato il colpo mortale”.
Le 17.17 del 13 maggio 1981 il mondo si è fermato, immobile su un urlo: “Hanno sparato al papa!”. E il papa era il primo straniero dopo 455 anni di papi italiani; era Wojtyla: il primo papa polacco nella lista dei papi, il primo dall’Est, il primo di una lingua slava.
“Hanno sparato al papa!” e le edizioni speciali dei tg hanno scritto la storia trasmettendo le immagini di una piazza San Pietro affollata e attonita di fronte al forte e giovane Karol accasciato sulla jeep bianca, il volto in una smorfia di dolore, la mano sull’addome.
“Hanno sparato al papa!”: un gesto impensabile, inaudito, blasfemo, verrebbe da dire, ma si trattava di un gesto politico contro l’uomo e non contro la divinità: la volontà di fermare chi si temeva capace di cambiare una storia lunga decenni. In quegli spari c’era il tentativo del blocco orientale di fermare il processo libertario innescato dal movimento di Solidarność a cui Wojtyla guardava con simpatia.
Dell’attentato a Giovanni Paolo II si sono dette e scritte molte parole, fornite diverse spiegazioni a partire dagli stessi protagonisti.
Da una parte l’attentatore, il turco Ali Agca: la sua fuga fermata da un inciampo fuori programma sui sanpietrini e dal coraggio di una religiosa bergamasca, suor Letizia, che come un attaccante lo placcò e bloccò, sedendocisi sopra. Quell’Agca che cambiò 52 volte la sua versione dei fatti, mentre una fu la prima dichiarazione: “Only, only”, a sancire che era e agiva da solo. Sebbene giovanissimo, 23 anni, non era sconosciuto alla giustizia del suo paese anzi, affiliato all’organizzazione turca dei Lupi Grigi, era appena stato rilasciato da prigione. Eppure lui, considerato un killer infallibile – armato di una altrettanto infallibile Browning calibro 9 Parabellum – sbagliò. Fallì l’obiettivo per il quale era in quella piazza: colpire a morte il papa.
Dall’altra parte c’è la vittima designata, Giovani Paolo II, che invece non cambiò mai versione e, da subito e per sempre, non badando a piste e scoperte, con inscalfibile coerenza sostenne che a salvarlo era stata la mano di Maria, quella che a Fatima, alla stessa ora di 64 anni prima, era apparsa a tre pastorelli. Tanto è vero che nella corsa disperata verso il Gemelli, con l’ambulanza che si trovò bloccata nel traffico di Roma senza scorta e senza sirena (si ruppe nel tragitto), andava bisbigliando nella sua lingua: “Maria, Madre mia”. E il fidato don Stanislao che gli era accanto confermò che subito dopo lo sparo, pur soffrendo parecchio, il papa perdonò il suo attentatore: “Io ti perdono e offro tutto questo che mi capita per la Chiesa e per il mondo”. Giovanni Paolo II ribadì più volte: “Una mano ha voluto uccidere; una mano ha deviato il colpo mortale”.
Lo stesso medico che lo operò, il chirurgo Crucitti, non seppe trovare logica umana in quel che accadde. Lui che era a casa in ferie, nel pomeriggio – una delle tante coincidenze del giorno -, tornò in reparto, spinto da una necessità indefinita. Dichiarò sempre di non spiegarsi la anomala traiettoria del proiettile che si era mosso a zig zag nell’addome del papa, quasi ad evitare – sia pur di millimetri – aorta e organi vitali. Per questo, pur avendo perso oltre 3 litri di sangue, il papa si salvò. Se il fisico non si riprese mai completamente, l’anima si votò a Fatima.
La devozione a Maria era in lui fin da Wadovice (al cui museo si conserva la pistola di Agca), fin dal santuario di Częstochowa (cui fece devoto ritorno), fin dallo scapolare della Madonna del Carmine che indossava da quanto aveva dieci anni – lui orfano di madre a nove – e che non gli fu tolto neppure in sala operatoria. Una devozione che volle scritta nel motto, lui giovanissimo vescovo (a 38 anni) e cardinale (47 anni), non si separò da quel “Totus tuus” neppure da papa e anzi, lo arricchì di uno stemma con una grande M in un campo azzurro come un manto.
La Madre celeste era nel suo cuore come nei suoi scritti, nei suoi atti di devozione, nelle sue lunghissime preghiere, nell’edicola con l’immagine di Maria “Mater Ecclesiae” che per suo volere accoglie i pellegrini in piazza San Pietro dal 7 dicembre 1981. Ed è la ragione dei suoi tre viaggi a Fatima dopo l’attentato.
Il primo ad un anno esatto di distanza, il 13 maggio 1982, durante il quale scampò a un secondo attentato. C’era andato per portare a Maria il proiettile uscito dal suo corpo: lo volle incastonato al centro della corona della statua della Bianca signora: un lavoro che fece tremare l’orafo incaricato, il quale si stupì di come invece si adattasse al manufatto a tal punto da sembrare predisposto per accoglierlo. Un secondo viaggio fu nel 1991 quando fece atto di affidamento a Maria del mondo intero. Un terzo nel 2000 quando, il 13 maggio, beatificò i due pastorelli Giacinta e Francesco.
Pur con un pontificato lungo oltre ventisei anni, con il record dei viaggi ad ogni latitudine del pianeta, pur nei bagni di folla e di giovani che lo accompagnarono, il suo fisico non trovò la forza né la salute di prima, sperimentando più volte la necessità dei ricoveri. Già un paio di mesi dopo l’attentato subì un secondo intervento e da lì proseguì la via crucis cominciata il 13 maggio 1981 e terminata il 2 aprile 2005, quando un quasi irriconoscibile Giovanni Paolo II si spense, accompagnato da una piazza san Pietro lacrimante e in preghiera per lui, come era già successo ventiquattro anni prima, la sera dell’attentato.
(Molto di più si può leggere nel recente volume di Antonio Preziosi, Il Papa doveva morire, San Paolo editore).
Da una parte l’attentatore, il turco Ali Agca: la sua fuga fermata da un inciampo fuori programma sui sanpietrini e dal coraggio di una religiosa bergamasca, suor Letizia, che come un attaccante lo placcò e bloccò, sedendocisi sopra. Quell’Agca che cambiò 52 volte la sua versione dei fatti, mentre una fu la prima dichiarazione: “Only, only”, a sancire che era e agiva da solo. Sebbene giovanissimo, 23 anni, non era sconosciuto alla giustizia del suo paese anzi, affiliato all’organizzazione turca dei Lupi Grigi, era appena stato rilasciato da prigione. Eppure lui, considerato un killer infallibile – armato di una altrettanto infallibile Browning calibro 9 Parabellum – sbagliò. Fallì l’obiettivo per il quale era in quella piazza: colpire a morte il papa.
Dall’altra parte c’è la vittima designata, Giovani Paolo II, che invece non cambiò mai versione e, da subito e per sempre, non badando a piste e scoperte, con inscalfibile coerenza sostenne che a salvarlo era stata la mano di Maria, quella che a Fatima, alla stessa ora di 64 anni prima, era apparsa a tre pastorelli. Tanto è vero che nella corsa disperata verso il Gemelli, con l’ambulanza che si trovò bloccata nel traffico di Roma senza scorta e senza sirena (si ruppe nel tragitto), andava bisbigliando nella sua lingua: “Maria, Madre mia”. E il fidato don Stanislao che gli era accanto confermò che subito dopo lo sparo, pur soffrendo parecchio, il papa perdonò il suo attentatore: “Io ti perdono e offro tutto questo che mi capita per la Chiesa e per il mondo”. Giovanni Paolo II ribadì più volte: “Una mano ha voluto uccidere; una mano ha deviato il colpo mortale”.
Lo stesso medico che lo operò, il chirurgo Crucitti, non seppe trovare logica umana in quel che accadde. Lui che era a casa in ferie, nel pomeriggio – una delle tante coincidenze del giorno -, tornò in reparto, spinto da una necessità indefinita. Dichiarò sempre di non spiegarsi la anomala traiettoria del proiettile che si era mosso a zig zag nell’addome del papa, quasi ad evitare – sia pur di millimetri – aorta e organi vitali. Per questo, pur avendo perso oltre 3 litri di sangue, il papa si salvò. Se il fisico non si riprese mai completamente, l’anima si votò a Fatima.
La devozione a Maria era in lui fin da Wadovice (al cui museo si conserva la pistola di Agca), fin dal santuario di Częstochowa (cui fece devoto ritorno), fin dallo scapolare della Madonna del Carmine che indossava da quanto aveva dieci anni – lui orfano di madre a nove – e che non gli fu tolto neppure in sala operatoria. Una devozione che volle scritta nel motto, lui giovanissimo vescovo (a 38 anni) e cardinale (47 anni), non si separò da quel “Totus tuus” neppure da papa e anzi, lo arricchì di uno stemma con una grande M in un campo azzurro come un manto.
La Madre celeste era nel suo cuore come nei suoi scritti, nei suoi atti di devozione, nelle sue lunghissime preghiere, nell’edicola con l’immagine di Maria “Mater Ecclesiae” che per suo volere accoglie i pellegrini in piazza San Pietro dal 7 dicembre 1981. Ed è la ragione dei suoi tre viaggi a Fatima dopo l’attentato.
Il primo ad un anno esatto di distanza, il 13 maggio 1982, durante il quale scampò a un secondo attentato. C’era andato per portare a Maria il proiettile uscito dal suo corpo: lo volle incastonato al centro della corona della statua della Bianca signora: un lavoro che fece tremare l’orafo incaricato, il quale si stupì di come invece si adattasse al manufatto a tal punto da sembrare predisposto per accoglierlo. Un secondo viaggio fu nel 1991 quando fece atto di affidamento a Maria del mondo intero. Un terzo nel 2000 quando, il 13 maggio, beatificò i due pastorelli Giacinta e Francesco.
Pur con un pontificato lungo oltre ventisei anni, con il record dei viaggi ad ogni latitudine del pianeta, pur nei bagni di folla e di giovani che lo accompagnarono, il suo fisico non trovò la forza né la salute di prima, sperimentando più volte la necessità dei ricoveri. Già un paio di mesi dopo l’attentato subì un secondo intervento e da lì proseguì la via crucis cominciata il 13 maggio 1981 e terminata il 2 aprile 2005, quando un quasi irriconoscibile Giovanni Paolo II si spense, accompagnato da una piazza san Pietro lacrimante e in preghiera per lui, come era già successo ventiquattro anni prima, la sera dell’attentato.
(Molto di più si può leggere nel recente volume di Antonio Preziosi, Il Papa doveva morire, San Paolo editore).