Il secolo della velocità

Un tempo ci si accomodava sopra un calesse e viaggiare aveva un significato. Oggi si sale a bordo di un super jet e in poche ore si arriva dall'altra parte del mondo... Un cambia mento avvenuto nel giro di pochi anni alla fin fine...

“Gli alberi, ci sono gli alberi!”, gridano esausti e impolverati i membri della famiglia Salina, nel noto romanzo “Il Gattopardo”, alla vista di due sparuti eucalipti di Donnafugata ove d’estate vanno in villeggiatura. Hanno viaggiato cinque ore in carrozza trainata da una coppia di cavalli e alzando nugoli di polvere. “Viaggi di un tempo non così lontano”, scrive Enrico Menduni nel saggio “La rivoluzione veicolare” edito da Il Mulino. Altri tempi… ma era solo ieri o l’altro ieri, vale a dire un secolo fa. Prima si viaggiava solo a piedi o a dorso d’asino per strade fangose d’inverno e piene di buche nelle altre stagioni. Ora sono diventate piste d’asfalto, traficatissime, pericolose.In pochi decenni siamo passati dal calesse ai bolidi di formula uno. Sino agli anni venti del secolo scorso le strade erano quelle che vediamo nei quadri di quell’epoca, strette, alberate con rari oassanti. La vita di una volta era sedentaria. I signorotti abitavano in città e solo d’estate andavano a riposare nella loro tenuta in campagna, mentre i contadini si rompevano la schiena sotto il sole rovente. Questi, semmai, riposavano d’inverno quando anche la campagna sfiorita e gelata dorme.Per secoli la gente andava solo a piedi o a dorso d’asino, poi, scrive Enrico nella ricerca “La vita di corsa”, iniziò una rivoluzione progressiva, sempre più accelerata. E arrivarono in rapida sequenza il velocipede, il treno e il motore a scoppio. In pochi decenni abbiamo abbandonato i sentieri, le mulattiere e preso l’alta velocità. Siamo passati dalla donzelletta che vien da la campagna al caotico traffico in città e agli ingorghi in autostrada.Marinetti delirava sulla velocità andando a tre chilometri l’ora su un trabiccolo a motore. Come racconta De Sica negli anni Cinquanta le strade furono prese d’assalto dalle biciclette. Con la prima induastrializzazione i mezzadri abbandonarono le campagne e cominciarono a viaggiare sempre più veloci. In Vespa, in Lambretta e prese a rate il frigo, la Tv e l’utilitaria.La classe operaia conobbe le ferie balneari. Di casello in casello sfilavano le utilitarie spensierate, prove di un insperato boom economico, segno che di anno in anno il proletariato accedeva alla società dei consumi, delle comodità a portata di mano.Dalla speranza in treno degli emigranti stagionali, all’Autostrada del sole, il “ponte tra Nord e Sud”. “Una via all’Unità d’Italia” la ripercorre Enrico Melumi per Il mulino.”Pulsavano gli Anni Sessanta”. “La quattro ruote, dal 1899, quando nacque la Fiat, ricamava una dimensione mitica, nutriva gli scenari del progresso, indicava futuristi traguardi”, scrive ne “La vita che corre”, edizioni Il Mulino, Attilio Brilli. “L’auto accese l’orgoglio dell’Italia passata in pochi anni dai campi alle fabbriche. Dalla civiltà contadina al consumismo di massa.E dal secolo scorso l’auto è entrata nelle storie della letteratura e dello spettacolo, dal Pastore Serafino di Celentano che si mostra figo in fuoriserie, alla torpedo blu di Giorgio Gaber. Da Alberto Sordi, tassinaro raccomandato, allo spericolato Vittorio Gassman ne “Il Sorpasso” di Dino Risi. La storia si fa poi epopea con le Maserati di Tazio Nuvolari e con le Rosse di Maranello. ed un discorso a parte lo merita l’automobile nella narrativa del secolo scorso. Lo fa un interessante inserto letterario de “La Stampa”, il quotidiano di Torino, la città degli Agnelli e della Fiat. Ha per tema “L’auto in pagina. Novecento, si cambia” e diventa subito best seller di Paolo Malagodi che ha riunito in un volume, pubblicato da Il Sole 24 ore ben 82 italici viaggi d’autore da Gadda a Arbasino, da “La lussuosa macchina” di Sciascia, a Comisso, a Guareschi (oltre a sindaco che mestiere faceva Peppone?), da “L’ombra delle Colline” di Giovanni Arpino a “In viaggio per l’Italia di Guido Piovene.Il Novecento resterà nella storia come il secolo della velocità. Prima si viaggiava a passo d’uomo, a piedi o a dorso d’asino. Solo i ricchi usavano cavalli e calessi. A fine Ottocento una società inglese realizzò la prima funicolare che collegava Mergellina alle pendici di Posillipo. Pochi chilometri, un fatto sbalorditivo per i napoletani che immortalarono l’evento con la nota canzone Funiculì, funicolà. Poi sbuffando arrivò il primo treno a vapore e il Carducci nell’inno a Satana ci vide la fine dell’oscurantismo e l’inizio dei tempi nuovi. In giro già si vedeva qualche velocipede. E poi e poi, sono arrivate le auto sempre più veloci, gli intercity, i jet, i viaggi intercontinentali e quelli interplanetari.L’uomo si è messo a correre, sempre più veloce. sempre più inquieto. Parlando di questo, Gino Bramieri sbuffava: “Uffa, corri che ti corri, stiamo diventando sempre più frenetici e nevratastenici. Basta, fermate il mondo, voglio scendere!”.