Domenica 30 aprile, commento di don Renato De Zan

 La porta è Gesù: Egli offre la conversione e il Battesimo come gli strumenti per essere perdonati e ricevere lo Spirito. La seconda lettura (1Pt 2,20b-25) invita i credenti a seguire le orme di Gesù, il pastore e custode delle anime dei credenti.

Gv 10,1-10In quel tempo, Gesù disse: 1 “In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3 Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4 E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5 Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. 6 Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. 7 Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Il Testo

1. La pericope evangelica della paroimìa è molto estesa: Gv 10,1-18. La parola “paroimìa” indica un proverbio o un breve racconto plurisemantico (con più significati), con indicazioni articolate e ricche, non sempre immediatamente afferrabili. Il testo evangelico, infatti, lo dice chiaramente: “Gesù disse loro questa similitudine (greco: paroimìa), ma essi non capirono di che cosa parlava loro”. La paroimìa o paremìa (italiano) presenta l’immagine della quotidianità della vita pastorale, di cui Gesù spiegherà il valore della “porta” (Gv 10,1-10) e della figura del “pastore (Gv 10,11-18). La Liturgia sceglie come formula odierna la paroimìa e la prima spiegazione (G 10,1-10).

2. Sotto il profilo narrativo il testo della formula liturgica è scandito dalla duplice ripetizione “In verità, in verità io vi dico” (Gv 10,1.7). In questo modo il testo è diviso in due parti. La prima (Gv 10,1-6) è caratterizzata da due antitesi. La prima riguarda chi entra dalla porta e chi no “Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta” (Gv 10,1) // “Chi invece entra dalla porta” (Gv 10,2). La seconda antitesi riguarda la persona conosciuta o no dalle pecore: “il guardiano” (Gv 10,3) // “un estraneo” (Gv 10,5). La seconda parte (Gv 10,7-10) è scandita da due elementi. Il primo riguarda la ripetizione: “Io sono la porta delle pecore” (Gv 10,7) e “Io sono la porta” (Gv 10,9). Il secondo elemento è ancora un’antitesi: “Il ladro non viene…” (Gv 10,10a) // “Io sono venuto” (Gv 10,10b).

L’Esegesi

1. Nella prima parte della formula (Gv 10,1-6) Gesù illustra la figura del pastore. I suoi destinatari conoscevano bene il mondo della pastorizia. Oggi lo si conosce un po’ meno. Il pastore vero ha delle caratteristiche. Entra per la porta perché non è né ladro (in greco, “klèptes”, quello che ruba) né brigante (in greco, “lestès”, quello che ruba facendo del male fisico). Le pecore ascoltano la sua voce perché ha un legame personale con ciascuna di esse (le chiama per nome). Egli le precede ed esse lo seguono. Uscendo fuori dall’immagine, i discepoli ascoltano e obbediscono alla voce del Maestro che ha un rapporto personale e irrepetibile con ciascuno. Inoltre i discepoli imitano il Maestro e condividono con Lui ogni momento della vita. I veri discepolo non seguono altri maestri perché “non conoscono la voce degli estranei”.

2. Per due volte, nella seconda parte della formula (Gv 10,7-10), Gesù dice di essere la “porta” (vv.7.9). Nella prima volta l’identificazione di Gesù con la porta serve al Maestro per qualificare come “ladri” e “briganti” coloro che erano venuti prima di lui (scribi e farisei oppure i falsi liberatori dei tempi di Gesù?). La seconda volta, offre a Gesù la possibilità di affermare senza sfumature che la salvezza è un pascolo al quale si accede solo attraverso di lui. Solo Gesù dona la vita (eterna) in abbondanza. Il salmista aveva alluso alla porta del Signore: “per essa entrano i giusti” (Sal 118,20).

3. Molti commentatori ritengono che Giovanni abbia riportato questi pensieri di Gesù per rispondere in qualche modo ai problemi del suo tempo. C’erano, infatti, delle difficoltà con alcuni responsabili di comunità. La prima lettera di Pietro ci riporta una veloce testimonianza: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce” (1Pt 5,2-4). I pastori avidi e poco rispettosi dei fedeli dovevano ricordare ciò che Gesù aveva detto circa coloro che non erano pastori del gregge, ma “ladri” e “briganti”.

Il Contesto Liturgico

1. La “porta” rappresenta quella realtà attraverso la quale l’uomo entra in ciò che gli appartiene, I genitori sono la porta della vita, la maestra della scuola materna è la porta della cultura, la ragazzina o il ragazzino della prima infatuazione è la porta dell’amore exta-familiare….Gesù è la “porta” attraverso la quale si arriva al Padre. Egli, infatti, ce lo ha “rivelato” (cf Gv 1,18). Le due Collette non sono vicine a questo pensiero, ma ambedue scivolano sulla figura del pastore.

2. La prima lettura (At 2,14a.36-41) propone l’interpretazione della “porta” che è Gesù: Egli offre la conversione e il Battesimo come gli strumenti per essere perdonati e ricevere lo Spirito. La seconda lettura (1Pt 2,20b-25) invita i credenti a seguire le orme di Gesù, il pastore e custode delle anime dei credenti.