Paolo Rumiz: un Nobel non trova un’accoglienza così popolare come Dedica

Una serie di incontri con Pordenone: i libri letti, le messe in scena, i racconti appassionati e appassionanti dell'autore. Una città accogliente per una penna di grande valore e per un testimone schietto del nostro tempo

Il 16 ottobre, splendido sabato autunnale si è aperta a Pordenone la ventisettesima edizione di Dedica, in presenza, dopo la travagliata edizione del 2020 con Hisham Matar, sospesa causa pandemia a 4 giorni dall’inizio.Protagonista di Dedica 2021 Paolo Rumiz, entusiasta, perché inaspettatamente raggiunto da mesi da una tale quantità di sollecitazioni, visite di Claudio Cattaruzza, da fargli aprire casseforti e bauli per far emergere oggetti, che aveva quasi dimenticato.Il viaggio è il tema di questa edizione, per Rumiz uguale a sogno, riflesso della sua esistenza. In anteprima Bjorn Larrson – già a Dedica nel 2017 – ha incontrato Paolo Rumiz a Trieste il 9 ottobre scorso per conversare “Con il viaggio negli occhi”. Per Larrson partecipare a Dedica è “come vincere il Nobel”. Rumiz ha aggiunto invece che l’accoglienza di un Nobel non è così popolare come nei confronti di chi è protagonista di Dedica e arriva in città in una assolata giornata autunnale di mercato.”Il bello di Dedica, la sua consolle culturale è poter interloquire per una settimana con uno scrittore, comprendere il suo mondo e si prova una grande gioia nel ripristinare un po’ di normalità, nel vedere i luoghi della cultura che si riempiono” parole di Claudio Cattaruzza, che, solitamente pacato nel suo equilibrio, non ha potuto fare a meno di trasmettere questa gioia all’apertura del Festival al Teatro Verdi, finalmente pieno di spettatori. Tra gli applausi entrano Paolo Rumiz, Claudio Cattaruzza e Federica Manzon protagonista del dialogo con Rumiz. Un breve video porta i saluti dell’assessore regionale Tiziana Gibelli.Quindi la consegna del Sigillo della città da parte dell’assessore alla cultura Alberto Parigi. “In un’Europa che va chiudendosi, ricevere un sigillo che si caratterizza per due porte aperte sul fiume è una gioia, in questo magnifico momento della mia vita” parole di Rumiz.Ha inizio il lungo dialogo affabulante, fatto di cose viste, sensazioni provate nel lungo viaggiare del giornalista, scrittore triestino.Rumiz ha viaggiato a piedi perché “il cammino è il principe dei viaggi”. Camminando fai i conti con te stesso. Prima cammini curvo, poi l’andatura si fa nobile. Incontri l’altro, scambi idee, ma anche ascolti nel silenzio”.Rumiz ha viaggiato con mezzi pubblici, in bicicletta, con una mitica 500. Da questi viaggi nascono una trentina di libri. Penna fantastica, nata dall’ascolto dei racconti orali, dalle origini lontane nei racconti della nonna materna che lo accoglieva nel lettone. Aveva attraversato sei diverse dominazioni la nonna, ma aveva vissuto ugualmente con leggerezza il secolo breve e la perdita della sua casa in Istria.Paolo Rumiz, uomo di frontiera, voleva varcarla, a differenza dei suoi genitori che temevano Tito e i carri armati. E l’ha varcata tante volte verso est per conoscere se stesso e i popoli europei, fino alla Cina, dove ha trovato “l’alien”, l’uomo che non comunica, il diverso da sé.Un lungo viaggio da nord a sud dell’Europa. In bicicletta verso Istanbul. A Gerusalemme perduta per scoprire le origini del Cristianesimo e poi in visita da Papa Francesco per raccontare delle chiese affollate di Aleppo e dei bellissimi canti che alimentano la fede. L’Europa è il grande amore di Rumiz, “ma oggi l’Europa non è più unificata, ci conosciamo sempre meno. C’è bisogno di narrare l’Europa in termini emozionali, dovrebbero conoscerla anche i politici. C’è bisogno di raccontare ai giovani, anche le guerre, la Grande Guerra, i sacrifici di tanti uomini di ogni nazione nelle trincee, gli uni accanto agli altri. In Francia come in Val Dogna. Da quelle sofferenze si capisce la pace in Europa oggi”.Rumiz ha vissuto la guerra dei Balcani così complessa, la caduta dei regimi comunisti, l’Afghanistan.Ha viaggiato in Italia alla scoperta di Norcia dopo il terremoto, là dove la statua di San Benedetto gli ha fatto da spunto per un viaggio tra i monasteri europei per ricostruire l’Europa. “Dopo i terremoti in Italia si è sempre ricostruito”.L’ultimo libro di Paolo Rumiz, uscito in questi giorni, è “Canto per Europa”. L’Europa e il Mediterraneo “mare di sangue”. “Si sarebbero dovuti costruire centri professionali lungo il cammino dei profughi perché ci conoscessero. Possono portare valori, il grande rispetto per la maternità, per la vecchiaia. Da questi incontri potrebbe nascere qualcosa di buono, sempre nel rispetto delle regole”.”Canto per Europa”, un mito da raccontare di nuovo: una giovane siriana, profuga di guerra con tante sofferenze addosso, fugge sulla barca a vela di quattro uomini assetati di miti, e canta con voce ammaliante. Si chiama Europa. Rifonderà l’Europa come nel mito dell’origine del nostro continente. Saranno forse proprio quelle genti che tanto hanno sofferto fuggendo a vincere e a salvare il nostro continente.Infiniti ancora gli spunti per la narrazione. Trieste, la frontiera sismografo “da dove ho sempre saputo da dove venivano i sommovimenti tra stati e tra popoli”.Trieste e lo sciopero dei portuali di questi giorni, vissuto con dolore, perché non sono tutti portuali di Trieste e per la sofferenza che hanno arrecato al presidente del Porto che li ha sempre trattati come figli. “Bisogna rispettare le regole”. Bisogna ricostruire l’Europa, dare un segnale forte della nostra cultura cristiana.”Maria Luisa Gaspardo Agosti