La curatrice Caterina Furlan: Il Pordenone rivoluzionario e moderno

Intervista a Caterina Furlan, curatrice della mostra insieme a Vittorio Sgarbi. Secondo la furlan il nostro Giovanni Antonio de' Sacchis fu uno dei più grandi della prima metà del Cinquecento: rivoluzionario e moderno.

  Caterina Furlan, curatrice con Vittorio Sgarbi della mostra “Il Rinascimento di Pordenone, pordenonese di nascita, dal 1971 al 1989 ha svolto attività didattica e di ricerca all’Istituto di Storia dell’arte dell’Università di Padova. Dal 1994 professore ordinario presso l’Università di Udine, direttrice del Dipartimento di Storia e tutela dei beni culturali della stessa Università, Preside della facoltà di Lettere e Filosofia dal 2002 al 2008, dal 2009 al 2013 direttore della Scuola di specializzazione di Beni Storico Artistici. Ha diretto il Centro di Catalogazione e restauro di Villa Manin dal 1996 al 1999.É una dei massimi esperti del pittore Giovanni Antonio de’ Sacchis detto Il Pordenone; ha curato presso Villa Manin la mostra del 1984.Alla dott.ssa Furlan, in prossimità dell’inaugurazione della grande mostra sul Pordenone, abbiamo posto alcune domande.

Come ha reagito quando le hanno proposto di curare un’altra mostra sul Pordenone, dopo quella del 1984?A dire il vero, ho il sospetto che non si sia pensato a me in prima battuta. In ogni caso, più che un piacere, l’ho sentito come un dovere nei confronti della città in cui sono nata e cresciuta. Mi sarebbe piaciuto molto avere come compagno in quest’avventura anche Charles E. Cohen, autore di una monumentale monografia sul Pordenone (articolata in due volumi), ma purtroppo per varie ragioni non è stato possibile.E’ cambiato e come il suo giudizio sul Pordenone dopo la mostra del 1984?A dire il vero, anche dopo la mostra del 1984 e la successiva pubblicazione della mia monografia (1988) ho continuato a occuparmi del Pordenone, sebbene in maniera non così continuativa come in questi ultimi due, tre anni. Il giudizio complessivo resta quello di un grande pittore ad affresco, anzi uno dei più grandi della prima metà del Cinquecento: rivoluzionario nella tecnica e moderno nel modo di rapportarsi all’osservatore.Quali le sue personali riscoperte?Oltre all’individuazione di una Sacra conversazione esposta nel 2006 a San Vito al Tagliamento (in occasione della mostra su Pomponio Amalteo), credo che il contributo più rilevante sia consistito nell’attribuzione – effettuata di concerto con Elisabetta Francescutti – del ciclo di affreschi nella chiesa campestre di San Girolamo a Marzins (presso Fiume Veneto). Certo, non tutto è riconducibile alla mano del Pordenone, tuttavia le parti più significative costituiscono un’importante testimonianza della sua “protostoria” pittorica. Infine credo possa essere riferita a una fase giovanile della sua attività, da situarsi a ridosso della Madonna affrescata su uno dei pilastri ottagonali del duomo di Pordenone, la decorazione del palazzetto già Mantica-Cattaneo, al civico 52 di corso Vittorio Emanuele.Cosa si auspica resti al visitatore della mostra?L’impressione di un grande artista, in grado di reggere il confronto con i maggiori del suo tempo.Qual è l’opera che è più contenta di aver potuto inserire nel percorso della mostra?Più che una singola opera, sono particolarmente orgogliosa di essere riuscita a presentare la Madonna della Loggia di Udine accanto alla Nuda di Giorgione; le portelle della chiesa veneziana di San Rocco con i Santi Martino e Cristoforo accanto alla Madonna con il Bambino tra i santi Rocco e Sebastiano del Lotto (proveniente da Loreto); infine la magistrale Deposizione di Cortemaggiore insieme con il Compianto di Correggio, dipinto per la cappella del Bono, nella chiesa parmense di San Giovanni Evangelista (oggi vanto della Galleria Nazionale di Parma).Se dovesse scegliere un’opera del Pordenone, quale indicherebbe perché meglio lo rappresenta?Senz’altro i Santi Martino e Cristoforo precedentemente citati perché esemplificativi di quel “furore molto da pittor novo”, riconosciutogli da Vasari fin dalla prima edizione delle Vite (1550). Tuttavia non dobbiamo dimenticare che il Pordenone fu capace di esprimere magistralmente anche sentimenti di profonda religiosità e compunzione, come dimostra la Deposizione di Cortemaggiore: opera sublime nella quale il corpo di Cristo, abbandonato nel sonno della morte, è degno di reggere il confronto con quello dipinto da Sebastiano del Piombo nella celeberrima Pietà Vitetti del Museo Civico di Viterbo, per cui ha potuto giovarsi dell’ausilio di alcuni disegni di Michelangelo.La mostra ospiterà anche opere di altri artisti. Quale, tra le tante, è per lei particolarmente significativa?Significative lo sono tutte. Particolarmente interessante mi sembra comunque un piccolo dipinto di collezione privata raffigurante un satiro dormiente, insieme  con la sua famiglia. Presentato in mostra come possibile autografo di Sebastiano del Piombo, potrà essere utilmente confrontato con un’opera del Pordenone di soggetto analogo oggi irreperibile, ma comunque illustrata in catalogo.